Valutazione dell'interesse pubblico nei casi di acquisizione sanante

Con la sentenza del 18 gennaio 2019 numero 68 in materia di acquisizione sanante, la seconda sezione del Tribunale Amministrativo Regionale di Catania ha accolto le istanze dei ricorrenti, chiarendo che la valutazione degli interessi in conflitto che l’Amministrazione deve compiere ai sensi dell’articolo 42 bis del d.p.r. n. 327/2001 (c.d. Testo Unico sulle Espropriazioni per Pubblica Utilità), non è una semplice facoltà ma bensì una potestà, cioè l’esercizio obbligatorio di un potere funzionalizzato alla cura dell’interesse pubblico.
Nel caso di specie, i ricorrenti hanno lamentato l’illegittimità del silenzio tenuto dall’Amministrazione in merito a tale valutazione, nonostante la loro diffida a completare l’iter espropriativo.
La Sezione, ricordando che “… come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza amministrativa, l’impugnazione del (presunto) silenzio-rifiuto dell’Amministrazione su quanto oggetto di diffida è inammissibile quando la controversia attenga a posizioni di diritto soggettivo, atteso che in questo caso la tutela dell’interessato deve essere fatta valere mediante l’apposita azione di accertamento …”, ribadisce però la fondatezza del ricorso, anche in accordo a quanto di recente affermato tanto dalla stessa sezione quanto dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana (sentenza numero 73 del 2010).
Ed infatti il Collegio rileva che, nonostante sia vero che nei casi contemplati dall’art. 42-bis, primo e secondo comma, d.p.r. n. 327/2011 (utilizzazione per scopi di interesse pubblico di un bene immobile modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, ovvero in forza di atto successivamente annullato in sede giurisdizionale da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, ovvero di atto successivamente annullato in sede giurisdizionale che abbia dichiarato la pubblica utilità di un’opera, ovvero di decreto di esproprio successivamente annullato in sede giurisdizionale, ovvero di ritiro di uno di tali atti da parte dell’Amministrazione durante la pendenza di un giudizio per il loro annullamento), la proprietà dell’area illecitamente occupata e trasformata permane in capo all’originario proprietario o ai suoi aventi causa – con la conseguenza che per ordinare la restituzione del bene sussisterebbero i presupposti civilistici – bisogna altresì tenere conto della più complessa situazione normativa che disciplina tali fattispecie.
Nei casi come quello in esame, si pone per l’Amministrazione un’alternativa fra l’adempimento di un obbligo restitutorio e risarcitorio disciplinato dal diritto civile e l’esercizio di una potestà autoritativa di acquisizione del bene di cui la stessa dispone in forza del regime speciale ad essa assicurato dal diritto amministrativo; tale scelta, però, non è libera come accade nel caso delle obbligazioni alternative, ma l’Amministrazione ha un vero e proprio obbligo di esercitare tale potere qualora il suo esercizio, all’esito della valutazione sugli interessi in conflitto, risulti meglio corrispondere all’interesse pubblico.
La valutazione discrezionale sugli interessi in conflitto quindi, risulta sempre necessaria nei casi di cui al citato articolo 42-bis, primo e secondo comma, perché, qualora essa deponga nel senso che l’interesse pubblico, nella sua composizione con gli altri interessi configgenti, risulti meglio soddisfatto attraverso l’acquisizione del bene, all’Amministrazione non resta alcuna facoltà di optare per la restituzione dell’immobile, poiché tale soluzione pregiudicherebbe il corretto perseguimento dell’interesse che l’autorità è deputata a soddisfare.
Il Tribunale, dunque, afferma che il primo dovere dell’Amministrazione consiste nel decidere in via preliminare se esercitare o meno la potestà amministrativa di acquisizione, tramite una valutazione che potrebbe anche non essere formalizzata in uno specifico provvedimento,  poiché nell’ipotesi in cui la stessa abbia esito negativo risulterebbe implicita nella restituzione dell’immobile.
Tale valutazione amministrativa discrezionale, precisa infine la sentenza, concerne l’alternativa fra acquisizione e non acquisizione del bene, in quanto la concreta restituzione rappresenta piuttosto un obbligo civilistico – cioè una mera conseguenza legale della decisione di non acquisire il bene – ed essa non costituisce, dunque, espressione di una specifica volontà provvedimentale dell’autorità amministrativa; parte ricorrente, in altri termini, non potrebbe ottenere la restituzione dell’immobile nelle forme del giudizio di ottemperanza alla decisione del Tribunale Amministrativo sul ricorso avverso il silenzio, poiché si tratterebbe di un vero e proprio mutamento di giurisdizione e rito.
 

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About the Author: Francesco Giuseppe Marino

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Valutazione dell'interesse pubblico nei casi di acquisizione sanante

Published On: 1 Febbraio 2019

Con la sentenza del 18 gennaio 2019 numero 68 in materia di acquisizione sanante, la seconda sezione del Tribunale Amministrativo Regionale di Catania ha accolto le istanze dei ricorrenti, chiarendo che la valutazione degli interessi in conflitto che l’Amministrazione deve compiere ai sensi dell’articolo 42 bis del d.p.r. n. 327/2001 (c.d. Testo Unico sulle Espropriazioni per Pubblica Utilità), non è una semplice facoltà ma bensì una potestà, cioè l’esercizio obbligatorio di un potere funzionalizzato alla cura dell’interesse pubblico.
Nel caso di specie, i ricorrenti hanno lamentato l’illegittimità del silenzio tenuto dall’Amministrazione in merito a tale valutazione, nonostante la loro diffida a completare l’iter espropriativo.
La Sezione, ricordando che “… come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza amministrativa, l’impugnazione del (presunto) silenzio-rifiuto dell’Amministrazione su quanto oggetto di diffida è inammissibile quando la controversia attenga a posizioni di diritto soggettivo, atteso che in questo caso la tutela dell’interessato deve essere fatta valere mediante l’apposita azione di accertamento …”, ribadisce però la fondatezza del ricorso, anche in accordo a quanto di recente affermato tanto dalla stessa sezione quanto dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana (sentenza numero 73 del 2010).
Ed infatti il Collegio rileva che, nonostante sia vero che nei casi contemplati dall’art. 42-bis, primo e secondo comma, d.p.r. n. 327/2011 (utilizzazione per scopi di interesse pubblico di un bene immobile modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, ovvero in forza di atto successivamente annullato in sede giurisdizionale da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, ovvero di atto successivamente annullato in sede giurisdizionale che abbia dichiarato la pubblica utilità di un’opera, ovvero di decreto di esproprio successivamente annullato in sede giurisdizionale, ovvero di ritiro di uno di tali atti da parte dell’Amministrazione durante la pendenza di un giudizio per il loro annullamento), la proprietà dell’area illecitamente occupata e trasformata permane in capo all’originario proprietario o ai suoi aventi causa – con la conseguenza che per ordinare la restituzione del bene sussisterebbero i presupposti civilistici – bisogna altresì tenere conto della più complessa situazione normativa che disciplina tali fattispecie.
Nei casi come quello in esame, si pone per l’Amministrazione un’alternativa fra l’adempimento di un obbligo restitutorio e risarcitorio disciplinato dal diritto civile e l’esercizio di una potestà autoritativa di acquisizione del bene di cui la stessa dispone in forza del regime speciale ad essa assicurato dal diritto amministrativo; tale scelta, però, non è libera come accade nel caso delle obbligazioni alternative, ma l’Amministrazione ha un vero e proprio obbligo di esercitare tale potere qualora il suo esercizio, all’esito della valutazione sugli interessi in conflitto, risulti meglio corrispondere all’interesse pubblico.
La valutazione discrezionale sugli interessi in conflitto quindi, risulta sempre necessaria nei casi di cui al citato articolo 42-bis, primo e secondo comma, perché, qualora essa deponga nel senso che l’interesse pubblico, nella sua composizione con gli altri interessi configgenti, risulti meglio soddisfatto attraverso l’acquisizione del bene, all’Amministrazione non resta alcuna facoltà di optare per la restituzione dell’immobile, poiché tale soluzione pregiudicherebbe il corretto perseguimento dell’interesse che l’autorità è deputata a soddisfare.
Il Tribunale, dunque, afferma che il primo dovere dell’Amministrazione consiste nel decidere in via preliminare se esercitare o meno la potestà amministrativa di acquisizione, tramite una valutazione che potrebbe anche non essere formalizzata in uno specifico provvedimento,  poiché nell’ipotesi in cui la stessa abbia esito negativo risulterebbe implicita nella restituzione dell’immobile.
Tale valutazione amministrativa discrezionale, precisa infine la sentenza, concerne l’alternativa fra acquisizione e non acquisizione del bene, in quanto la concreta restituzione rappresenta piuttosto un obbligo civilistico – cioè una mera conseguenza legale della decisione di non acquisire il bene – ed essa non costituisce, dunque, espressione di una specifica volontà provvedimentale dell’autorità amministrativa; parte ricorrente, in altri termini, non potrebbe ottenere la restituzione dell’immobile nelle forme del giudizio di ottemperanza alla decisione del Tribunale Amministrativo sul ricorso avverso il silenzio, poiché si tratterebbe di un vero e proprio mutamento di giurisdizione e rito.
 

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