Usucapione in favore della PA di beni illegittimamente occupati

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa, con l’interessante decisione del 13 giugno 2019 n. 536, si è pronunziato su una complessa vicenda espropriativa, nell’ambito della quale l’Amministrazione comunale espropriante, adottato decreto di esproprio a distanza di più di cinquant’anni dall’occupazione d’urgenza e temporanea e dall’inizio della procedura espropriativa di determinate aree, per paralizzare le richieste anche risarcitorie formulate dai privati eccepiva, fra l’altro, l’intervenuta usucapione dei beni occupati (e nel frattanto irreversibilmente trasformati).
In prime cure, l’adito TAR Catania aveva dichiarato il ricorso in parte improcedibile ed in parte irricevibile e per il resto lo aveva rigettato, ritenendo che il Comune avesse in effetti nel frattanto usucapito le aree di proprietà dei ricorrenti, a fronte del possesso protrattosi per oltre un ventennio dalla data di scadenza biennale della effettiva occupazione d’urgenza (avvenuta nel 1954) e che le istanze risarcitorie dei ricorrenti erano state proposte oltre i termini prescrizionali ordinari (decorrenti dall’intervenuta usucapione dei beni da parte del Comune).
Di segno opposto è stata la soluzione accolta, in sede d’appello, dal Consiglio di Giustizia Amministrativa.
Il Supremo Consesso della Giustizia Amministrativa siciliana, con la decisione in rassegna, dopo aver riformato la decisione di prime cure nella parte in cui aveva rilevato la parziale irricevibilità del ricorso introduttivo, ha anzitutto stigmatizzato la sicura illegittimità del decreto di esproprio allora impugnato, siccome inammissibilmente intervenuto a distanza di oltre cinquant’anni dalla dichiarazione di pubblica utilità dell’opera e dunque adottato in violazione dei termini di legge prescritti dall’art.13 della l. n.2359 del 25.6.1865 (cfr. Cass. SS.UU, 26.4.2007 n.10024).
Quindi, passando a valutare l’eccezione di usucapione sollevata dal Comune ed accolta in prime cure, ne ha affermato la infondatezza per tre ordini di ragioni.
Richiamandosi a quella ormai pacifica giurisprudenza, sia comunitaria che nazionale, secondo la quale “…se il bene è occupato illegittimamente, l’usucapione da parte della P.A. non può avvenire (C.S., IV^, 3.7.2014 n.3346; Id., 26.8.2015 n.3988)…” e che “…se l’area esproprianda viene occupata illegittimamente (ed a maggior ragione se viene occupata “sine titulo”) si perfeziona un c.d. “illecito permanente”; con la conseguenza che, fino a quando esso perdura, il termine per l’usucapione (a favore dell’occupante) non inizia a decorrere (C.S., IV^, 30.1.2017 n.4106; Id., 3.7.2014 n.3346; Id., 26.8.2015 n.3988)…”, il Collegio ha quindi ed in particolare rammentato come, in precedenti analoghi, la giurisprudenza abbia già affermato che:
– la prima, ma non unica ragione, per la quale l’usucapibilità di beni illecitamente occupati dall’Amministrazione non appare ammissibile, “…fa capo all’orientamento secondo il quale in tema di tutela possessoria, ricorre lo ‘spoglio violento’ anche in ipotesi di privazione dell’altrui possesso mediante alterazione dello stato di fatto in cui si trovi il possessore, eseguita contro la volontà, sia pure soltanto presunta, di quest’ultimo, sussistendo la presunzione di volontà contraria del possessore ove manchi la prova di una manifestazione univoca di consenso, e senza che rilevi in senso contrario il semplice silenzio, in quanto circostanza di per sé equivoca, e non interpretabile come espressione di ‘acquiescenza’, alla luce dell’ampia nozione di violenza del possesso elaborata dalla giurisprudenza (ex multis: Cass. Civ., II^, 7.12.2012 n. 22174)”; dovendosi cosi escludere che la semplice “detenzione” possa essere mutata in “possesso ad usucapionem” (C.S., IV^, 3.7.2014 n.3346; Id., V^, 26.8.2015 n.3988; Id., IV^ n.4096/2015)…”;
– la seconda ragione dell’inammissibilità dell’usucapione da parte (ed in favore) della P.A. nel caso in cui essa abbia occupato illegittimamente un’area privata, deriva dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, “….la quale afferma costantemente (Sez. II^, 30.5.2000, causa n.31524/96, Belvedere Alberghiera s.r.l. c. Italia; Sez. III^, 12.1.2006, causa n.14793/2002, Sciarrotta c. Italia), “la non conformità alla Convenzione (…), dell’istituto della c.d. ‘espropriazione indiretta o larvata’; e quindi di alternative all’acquisizione in proprietà che non siano rappresentate dal decreto di espropriazione, ovvero dal contratto tra le parti”; dal che l’affermazione (C.S., IV^, 3.7.2014 n.3346; Id., 26.8.2015 n.3988) secondo cui occorre prendere definitivamente atto che la C.E.D.U. “non consente … che l’apprensione materiale del bene da parte dell’Amministrazione possa considerarsi legittima al di fuori di una legittima procedura espropriativa o di un procedimento sanante (art. 42 bis D.P.R. n. 327 del 2001)”….”;
– l’usucapione in favore dell’Amministrazione di aree illegittimamente espropriate ed irreversibilmente trasformate,  pertanto, “…finisce per risolversi, nei fatti, in una ingiusta neutralizzazione dell’azione restitutoria e/o risarcitoria del proprietario che oltretutto impedisce che quest’ultimo possa chiedere l’applicazione dell’art.42 bis del d.p.r. 327/2001, norma la cui costituzionalità è stata riconosciuta dal Giudice delle Leggi con la recente sentenza n.71/2015 (C.S., IV^, 3.7.2014 n.3346; Id., 26.8.2015 n.3988); sicchè “il riconoscimento dell’usucapione per effetto dell’occupazione illegittima (… omissis …) rappresenta ciò che è stato definito un esercizio di “equilibrismo interpretativo” dal quale debbono essere prese le distanze” (C.S., IV^, 3.7.2014 n.3346; Id., 26.8.2015 n.3988)…”;
– ed ancora (che) “…alla luce della costante giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, quando il decreto di esproprio non sia stato emesso o sia stato annullato, l’occupazione e la manipolazione del bene immobile di un privato da parte dell’Amministrazione si configurano, indipendentemente dalla sussistenza o meno di una dichiarazione di pubblica utilità, come illecito di diritto comune, che determina non il trasferimento della proprietà in capo all’Amministrazione, ma la responsabilità di questa per i danni. In particolare, con riguardo alle fattispecie già ricondotte alla figura dell’occupazione acquisitiva, viene meno la configurabilità dell’illecito come illecito istantaneo con effetti permanenti e, conformemente a quanto sinora ritenuto per la c.d. occupazione usurpativa, se ne deve affermare la natura di illecito permanente (Cass. SS.UU. 19.1.2015 n.735)….”
Sulla scorta di tali coordinate, pertanto, il Collegio ha ritenuto che nella fattispecie per cui è causa la sopravvenuta perdita di efficacia dell’ordinanza di occupazione d’urgenza – protrattasi oltre un biennio (ed oltre ogni plausibile termine) – avesse trasformato l’occupazione legittima in occupazione illegittima, dando luogo ad un illecito permanente in relazione al quale – alla luce del richiamato orientamento giurisprudenziale – “…il termine per l’usucapione, nel perdurare della condotta illecita, non è mai iniziato a decorrere…”.
Ancora, “per completezza espositiva”, il Collegio ha poi evidenziato un’ulteriore osservazione – “.. mutuata da un orientamento giurisprudenziale sempre più seguito (per il quale si vedano, ancora: C.S., IV^, 3.7.2014 n.3346; Id., 26.8.2015 n.3988)…” – a conferma del mancato perfezionamento, nella fattispecie per cui è causa, dell’usucapione.
L’art.2935 del codice civile – ha in particolare rilevato il Collegio – stabilisce che “la prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere, laddove fino all’entrata in vigore del D.P.R. n.327 del 2001, al proprietario non era consentito agire per la restitutio in integrum dell’area illegittimamente occupata ed irreversibilmente trasformata dall’Amministrazione (area che in forza dell’allora vigente istituto della c.d. “accessione invertita” passava automaticamente in proprietà all’Amministrazione).
Da ciò, ad avviso del Collegio, deriva che:
– “…fino alla data di entrata in vigore del decreto in questione (nella specie: il 30.6.2003), in presenza di una irreversibile trasformazione del bene l’Amministrazione non aveva motivo di invocare l’intervenuta usucapione (venendole eventualmente in soccorso, per lo stesso effetto, la c.d. “espropriazione da accessione invertita”)…”;
– e “…i termini per una eventuale usucapione – ammissibile solamente nel caso in cui l’Amministrazione comunichi al proprietario la sua intenzione di continuare a possedere l’area occupata per scopi diversi rispetto a quello originariamente espropriativo (c.d. “interversione nel possesso”, che nella fattispecie non è avvenuta) – non potrebbero comunque iniziare a decorrere se non dalla data di avvenuta entrata in vigore del predetto decreto (il D.P.R. n.327/2001)….”; e ciò, in quanto “…solamente da tale data è sorta per il proprietario la possibilità di far valere il suo diritto (opponendosi all’espropriazione per accessione usurpativa), sicchè solamente da tale data è ipotizzabile qualificare in termini di volontaria acquiescenza – e dunque di condotta rilevante ai fini dell’usucapione (e cioè della perdita per c.d. “prescrizione acquisitiva” della proprietà) – il suo eventuale comportamento passivo (così in: C.S., IV^, 3.7.2014 n.3346; Id., 26.8.2015 n.3988)…”.
Sicchè, non essendo ancora decorso un ventennio dal 30 giugno 2003 (data di entrata in vigore del richiamato testo unico delle espropriazioni) “…non resta che concludere che anche sotto il profilo in esame l’usucapione dell’area in questione non può essersi perfezionata…”.
Peraltro, ha ulteriormente osservato il Collegio, nella fattispecie non si è verificata neanche alcuna utile interversione nel possesso, non ravvisandosi invero alcun mutamento dell’animus detinendi (cfr., al riguardo, Cass., II^ civ., 25.1.2018 n.1886).
E ciò, non potendosi – per un verso – ignorare che “…se l’Amministrazione si fosse ritenuta proprietaria, seppur in forza di usucapione, non avrebbe emanato, nel 2010, il decreto di esproprio…”; e per altro verso che, prima di tale momento, non era stato adottato alcun atto che dimostrasse che il proprietario dell’immobile fosse il Comune, né era intervenuto un provvedimento giurisdizionale che dichiarasse l’intervenuta usucapione dell’area per cui è causa; né risultava avviata alcuna azione giudiziaria avente tale finalità.
A fronte di ciò, il CGA ha quindi ritenuto meritevole di accoglimento anche la domanda giudiziale volta ad ottenere che l’Amministrazione decida: (i) se acquisire l’area per cui è causa ai sensi dell’art.42 del d.P.R. n.327 del 2001 (provvedendo a liquidare ai proprietari l’indennizzo previsto dalla norma in questione), ovvero (ii) se proporre ai proprietari di acquistarla al valore venale (“corrispondendo loro anche le somme dovute a titolo di risarcimento per l’occupazione illegittima”) ovvero (iii) “in estremo subordine” se restituirla ai legittimi proprietari (“previa rimessione in pristino stato e corresponsione ai danneggiati – anche in tal caso – del risarcimento per l’illegittima occupazione”).
Quanto poi alla domanda – riproposta in appello dai ricorrenti in prime cure – volta ad ottenere una condanna risarcitoria o, in subordine, in parte risarcitoria ed in parte reintegratoria, il Collegio ha osservato come “…la giurisprudenza civile ed amministrativa afferma (cfr. Cass. SS.UU., 19.1.2015 n.735; Id., 29 ottobre 2015 n. 22096; Id., 25 luglio 2016 n. 15283; nonché C.S., Ad. Pl., 9.2.2016 n. 2; e C.S., IV^, 7.11.2016 n.4636; V^, 26.8.2015 n.3988) che l’illegittima occupazione di un’area da parte della P.A., derivante dalla mancanza di un legittimo atto di acquisizione (come nel caso di specie il decreto di espropriazione), determina l’obbligo a carico di quest’ultima:
– di risarcire il proprietario per il mancato godimento del bene, e comunque di restituirlo (previa rimessa in pristino stato, ove sullo stesso siano intervenute modifiche);
– ovvero di “acquisirlo” ai sensi dell’art.42 bis del d.P.R. n.327 del 2001;
o – in estremo subordine – di ‘acquistarlo’ (con il consenso dei proprietari) al valore venale, previo risarcimento – anche in tal caso – per l’illegittima occupazione…”.
Quindi, in conformità alla normativa richiamata ed ai principi elaborati dalla giurisprudenza, il CGA – nell’accogliere l’appello dei privati,già ricorrenti in prime cure -ha infine ordinato all’Amministrazione comunale “…di scegliere, entro un congruo termine se restituire agli appellanti l’area della quale sono proprietariovvero se “acquisirla” ai sensi dell’art.42 bis del d.P.R. n.327 del 2001, o – infine – se acquistarla ad un prezzo che tenga conto del valore venale del bene e che contempli anche il risarcimento per l’illegittima occupazione protrattasi nel tempo..”, dichiarando al contempo “…che in caso di mancato adempimento da parte dell’Amministrazione, gli appellanti hanno diritto di ottenere da quest’ultima la immediata restituzione dell’area di loro proprietà, previa rimessione della stessa – a suoi carico – in pristino stato….”.

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Usucapione in favore della PA di beni illegittimamente occupati

Published On: 17 Giugno 2019

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa, con l’interessante decisione del 13 giugno 2019 n. 536, si è pronunziato su una complessa vicenda espropriativa, nell’ambito della quale l’Amministrazione comunale espropriante, adottato decreto di esproprio a distanza di più di cinquant’anni dall’occupazione d’urgenza e temporanea e dall’inizio della procedura espropriativa di determinate aree, per paralizzare le richieste anche risarcitorie formulate dai privati eccepiva, fra l’altro, l’intervenuta usucapione dei beni occupati (e nel frattanto irreversibilmente trasformati).
In prime cure, l’adito TAR Catania aveva dichiarato il ricorso in parte improcedibile ed in parte irricevibile e per il resto lo aveva rigettato, ritenendo che il Comune avesse in effetti nel frattanto usucapito le aree di proprietà dei ricorrenti, a fronte del possesso protrattosi per oltre un ventennio dalla data di scadenza biennale della effettiva occupazione d’urgenza (avvenuta nel 1954) e che le istanze risarcitorie dei ricorrenti erano state proposte oltre i termini prescrizionali ordinari (decorrenti dall’intervenuta usucapione dei beni da parte del Comune).
Di segno opposto è stata la soluzione accolta, in sede d’appello, dal Consiglio di Giustizia Amministrativa.
Il Supremo Consesso della Giustizia Amministrativa siciliana, con la decisione in rassegna, dopo aver riformato la decisione di prime cure nella parte in cui aveva rilevato la parziale irricevibilità del ricorso introduttivo, ha anzitutto stigmatizzato la sicura illegittimità del decreto di esproprio allora impugnato, siccome inammissibilmente intervenuto a distanza di oltre cinquant’anni dalla dichiarazione di pubblica utilità dell’opera e dunque adottato in violazione dei termini di legge prescritti dall’art.13 della l. n.2359 del 25.6.1865 (cfr. Cass. SS.UU, 26.4.2007 n.10024).
Quindi, passando a valutare l’eccezione di usucapione sollevata dal Comune ed accolta in prime cure, ne ha affermato la infondatezza per tre ordini di ragioni.
Richiamandosi a quella ormai pacifica giurisprudenza, sia comunitaria che nazionale, secondo la quale “…se il bene è occupato illegittimamente, l’usucapione da parte della P.A. non può avvenire (C.S., IV^, 3.7.2014 n.3346; Id., 26.8.2015 n.3988)…” e che “…se l’area esproprianda viene occupata illegittimamente (ed a maggior ragione se viene occupata “sine titulo”) si perfeziona un c.d. “illecito permanente”; con la conseguenza che, fino a quando esso perdura, il termine per l’usucapione (a favore dell’occupante) non inizia a decorrere (C.S., IV^, 30.1.2017 n.4106; Id., 3.7.2014 n.3346; Id., 26.8.2015 n.3988)…”, il Collegio ha quindi ed in particolare rammentato come, in precedenti analoghi, la giurisprudenza abbia già affermato che:
– la prima, ma non unica ragione, per la quale l’usucapibilità di beni illecitamente occupati dall’Amministrazione non appare ammissibile, “…fa capo all’orientamento secondo il quale in tema di tutela possessoria, ricorre lo ‘spoglio violento’ anche in ipotesi di privazione dell’altrui possesso mediante alterazione dello stato di fatto in cui si trovi il possessore, eseguita contro la volontà, sia pure soltanto presunta, di quest’ultimo, sussistendo la presunzione di volontà contraria del possessore ove manchi la prova di una manifestazione univoca di consenso, e senza che rilevi in senso contrario il semplice silenzio, in quanto circostanza di per sé equivoca, e non interpretabile come espressione di ‘acquiescenza’, alla luce dell’ampia nozione di violenza del possesso elaborata dalla giurisprudenza (ex multis: Cass. Civ., II^, 7.12.2012 n. 22174)”; dovendosi cosi escludere che la semplice “detenzione” possa essere mutata in “possesso ad usucapionem” (C.S., IV^, 3.7.2014 n.3346; Id., V^, 26.8.2015 n.3988; Id., IV^ n.4096/2015)…”;
– la seconda ragione dell’inammissibilità dell’usucapione da parte (ed in favore) della P.A. nel caso in cui essa abbia occupato illegittimamente un’area privata, deriva dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, “….la quale afferma costantemente (Sez. II^, 30.5.2000, causa n.31524/96, Belvedere Alberghiera s.r.l. c. Italia; Sez. III^, 12.1.2006, causa n.14793/2002, Sciarrotta c. Italia), “la non conformità alla Convenzione (…), dell’istituto della c.d. ‘espropriazione indiretta o larvata’; e quindi di alternative all’acquisizione in proprietà che non siano rappresentate dal decreto di espropriazione, ovvero dal contratto tra le parti”; dal che l’affermazione (C.S., IV^, 3.7.2014 n.3346; Id., 26.8.2015 n.3988) secondo cui occorre prendere definitivamente atto che la C.E.D.U. “non consente … che l’apprensione materiale del bene da parte dell’Amministrazione possa considerarsi legittima al di fuori di una legittima procedura espropriativa o di un procedimento sanante (art. 42 bis D.P.R. n. 327 del 2001)”….”;
– l’usucapione in favore dell’Amministrazione di aree illegittimamente espropriate ed irreversibilmente trasformate,  pertanto, “…finisce per risolversi, nei fatti, in una ingiusta neutralizzazione dell’azione restitutoria e/o risarcitoria del proprietario che oltretutto impedisce che quest’ultimo possa chiedere l’applicazione dell’art.42 bis del d.p.r. 327/2001, norma la cui costituzionalità è stata riconosciuta dal Giudice delle Leggi con la recente sentenza n.71/2015 (C.S., IV^, 3.7.2014 n.3346; Id., 26.8.2015 n.3988); sicchè “il riconoscimento dell’usucapione per effetto dell’occupazione illegittima (… omissis …) rappresenta ciò che è stato definito un esercizio di “equilibrismo interpretativo” dal quale debbono essere prese le distanze” (C.S., IV^, 3.7.2014 n.3346; Id., 26.8.2015 n.3988)…”;
– ed ancora (che) “…alla luce della costante giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, quando il decreto di esproprio non sia stato emesso o sia stato annullato, l’occupazione e la manipolazione del bene immobile di un privato da parte dell’Amministrazione si configurano, indipendentemente dalla sussistenza o meno di una dichiarazione di pubblica utilità, come illecito di diritto comune, che determina non il trasferimento della proprietà in capo all’Amministrazione, ma la responsabilità di questa per i danni. In particolare, con riguardo alle fattispecie già ricondotte alla figura dell’occupazione acquisitiva, viene meno la configurabilità dell’illecito come illecito istantaneo con effetti permanenti e, conformemente a quanto sinora ritenuto per la c.d. occupazione usurpativa, se ne deve affermare la natura di illecito permanente (Cass. SS.UU. 19.1.2015 n.735)….”
Sulla scorta di tali coordinate, pertanto, il Collegio ha ritenuto che nella fattispecie per cui è causa la sopravvenuta perdita di efficacia dell’ordinanza di occupazione d’urgenza – protrattasi oltre un biennio (ed oltre ogni plausibile termine) – avesse trasformato l’occupazione legittima in occupazione illegittima, dando luogo ad un illecito permanente in relazione al quale – alla luce del richiamato orientamento giurisprudenziale – “…il termine per l’usucapione, nel perdurare della condotta illecita, non è mai iniziato a decorrere…”.
Ancora, “per completezza espositiva”, il Collegio ha poi evidenziato un’ulteriore osservazione – “.. mutuata da un orientamento giurisprudenziale sempre più seguito (per il quale si vedano, ancora: C.S., IV^, 3.7.2014 n.3346; Id., 26.8.2015 n.3988)…” – a conferma del mancato perfezionamento, nella fattispecie per cui è causa, dell’usucapione.
L’art.2935 del codice civile – ha in particolare rilevato il Collegio – stabilisce che “la prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere, laddove fino all’entrata in vigore del D.P.R. n.327 del 2001, al proprietario non era consentito agire per la restitutio in integrum dell’area illegittimamente occupata ed irreversibilmente trasformata dall’Amministrazione (area che in forza dell’allora vigente istituto della c.d. “accessione invertita” passava automaticamente in proprietà all’Amministrazione).
Da ciò, ad avviso del Collegio, deriva che:
– “…fino alla data di entrata in vigore del decreto in questione (nella specie: il 30.6.2003), in presenza di una irreversibile trasformazione del bene l’Amministrazione non aveva motivo di invocare l’intervenuta usucapione (venendole eventualmente in soccorso, per lo stesso effetto, la c.d. “espropriazione da accessione invertita”)…”;
– e “…i termini per una eventuale usucapione – ammissibile solamente nel caso in cui l’Amministrazione comunichi al proprietario la sua intenzione di continuare a possedere l’area occupata per scopi diversi rispetto a quello originariamente espropriativo (c.d. “interversione nel possesso”, che nella fattispecie non è avvenuta) – non potrebbero comunque iniziare a decorrere se non dalla data di avvenuta entrata in vigore del predetto decreto (il D.P.R. n.327/2001)….”; e ciò, in quanto “…solamente da tale data è sorta per il proprietario la possibilità di far valere il suo diritto (opponendosi all’espropriazione per accessione usurpativa), sicchè solamente da tale data è ipotizzabile qualificare in termini di volontaria acquiescenza – e dunque di condotta rilevante ai fini dell’usucapione (e cioè della perdita per c.d. “prescrizione acquisitiva” della proprietà) – il suo eventuale comportamento passivo (così in: C.S., IV^, 3.7.2014 n.3346; Id., 26.8.2015 n.3988)…”.
Sicchè, non essendo ancora decorso un ventennio dal 30 giugno 2003 (data di entrata in vigore del richiamato testo unico delle espropriazioni) “…non resta che concludere che anche sotto il profilo in esame l’usucapione dell’area in questione non può essersi perfezionata…”.
Peraltro, ha ulteriormente osservato il Collegio, nella fattispecie non si è verificata neanche alcuna utile interversione nel possesso, non ravvisandosi invero alcun mutamento dell’animus detinendi (cfr., al riguardo, Cass., II^ civ., 25.1.2018 n.1886).
E ciò, non potendosi – per un verso – ignorare che “…se l’Amministrazione si fosse ritenuta proprietaria, seppur in forza di usucapione, non avrebbe emanato, nel 2010, il decreto di esproprio…”; e per altro verso che, prima di tale momento, non era stato adottato alcun atto che dimostrasse che il proprietario dell’immobile fosse il Comune, né era intervenuto un provvedimento giurisdizionale che dichiarasse l’intervenuta usucapione dell’area per cui è causa; né risultava avviata alcuna azione giudiziaria avente tale finalità.
A fronte di ciò, il CGA ha quindi ritenuto meritevole di accoglimento anche la domanda giudiziale volta ad ottenere che l’Amministrazione decida: (i) se acquisire l’area per cui è causa ai sensi dell’art.42 del d.P.R. n.327 del 2001 (provvedendo a liquidare ai proprietari l’indennizzo previsto dalla norma in questione), ovvero (ii) se proporre ai proprietari di acquistarla al valore venale (“corrispondendo loro anche le somme dovute a titolo di risarcimento per l’occupazione illegittima”) ovvero (iii) “in estremo subordine” se restituirla ai legittimi proprietari (“previa rimessione in pristino stato e corresponsione ai danneggiati – anche in tal caso – del risarcimento per l’illegittima occupazione”).
Quanto poi alla domanda – riproposta in appello dai ricorrenti in prime cure – volta ad ottenere una condanna risarcitoria o, in subordine, in parte risarcitoria ed in parte reintegratoria, il Collegio ha osservato come “…la giurisprudenza civile ed amministrativa afferma (cfr. Cass. SS.UU., 19.1.2015 n.735; Id., 29 ottobre 2015 n. 22096; Id., 25 luglio 2016 n. 15283; nonché C.S., Ad. Pl., 9.2.2016 n. 2; e C.S., IV^, 7.11.2016 n.4636; V^, 26.8.2015 n.3988) che l’illegittima occupazione di un’area da parte della P.A., derivante dalla mancanza di un legittimo atto di acquisizione (come nel caso di specie il decreto di espropriazione), determina l’obbligo a carico di quest’ultima:
– di risarcire il proprietario per il mancato godimento del bene, e comunque di restituirlo (previa rimessa in pristino stato, ove sullo stesso siano intervenute modifiche);
– ovvero di “acquisirlo” ai sensi dell’art.42 bis del d.P.R. n.327 del 2001;
o – in estremo subordine – di ‘acquistarlo’ (con il consenso dei proprietari) al valore venale, previo risarcimento – anche in tal caso – per l’illegittima occupazione…”.
Quindi, in conformità alla normativa richiamata ed ai principi elaborati dalla giurisprudenza, il CGA – nell’accogliere l’appello dei privati,già ricorrenti in prime cure -ha infine ordinato all’Amministrazione comunale “…di scegliere, entro un congruo termine se restituire agli appellanti l’area della quale sono proprietariovvero se “acquisirla” ai sensi dell’art.42 bis del d.P.R. n.327 del 2001, o – infine – se acquistarla ad un prezzo che tenga conto del valore venale del bene e che contempli anche il risarcimento per l’illegittima occupazione protrattasi nel tempo..”, dichiarando al contempo “…che in caso di mancato adempimento da parte dell’Amministrazione, gli appellanti hanno diritto di ottenere da quest’ultima la immediata restituzione dell’area di loro proprietà, previa rimessione della stessa – a suoi carico – in pristino stato….”.

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