Rilevanza temporale triennale dei gravi illeciti professionali

Published On: 7 Maggio 2019Categories: Appalti Pubblici e Concessioni

La Quinta Sezione del Consiglio di Stato, con la decisione del 06/05/2019 n.2895 che qui si segnala, è tornato a pronunziarsi sulla questione, invero ancora assai dibattuta, della rilevanza temporale dei gravi illeciti professionali di cui all’art. 80, commi 5 e 10 del decreto legislativo 50/2016.
La pronunzia, in particolare, si riferisce ad una fattispecie compiutasi dopo l’adozione del decreto legislativo correttivo n.56/2017, in relaziona alla quale parte ricorrente in prime cure (poi appellante dinanzi al Consiglio di Stato) contestava la sua esclusione dalla gara disposta dalla Stazione appaltante a causa di una risoluzione contrattuale risalente a quasi 5 anni prima (rispetto all’indizione della gara).
IL TAR Puglia, adito in prime cure, aveva respinto il ricorso, “…in ragione della spiccata discrezionalità della valutazione compiuta dall’amministrazione, ritenuta non illogica, né irragionevole…”, ed affermando peraltro come “l’accertamento si considera definitivo ove derivante da atto inoppugnabile o da sentenza passata in giudicato (Consiglio di Stato, Sez. V, 22 giugno 2018 n. 3876). Nella fattispecie di causa, l’accertamento posto in essere dal Comune di **** non è definitivo nei termini sopra indicati, in quanto non inoppugnabile, né definito con giudicato…”, dovendosi ritenere ogni relativa azione di contestazione “…assoggettata al termine di prescrizione ordinario decennale. Detto termine non è ancora decorso e il provvedimento di risoluzione non può dunque considerarsi inoppugnabile…” e risultando le azioni civili nel frattanto intraprese dalla concorrente per avversare quella risoluzione, non coperte da giudicato (avendo natura cautelare e rimanendo esperibile l’azione ordinaria di cognizione: Cassazione Civile, Sez. III, 20 aprile 2018 n. 9830).
Quindi, il Tribunale Amministrativo di prime cure aveva ritenuto non sussistere, nella specie, “…un accertamento definitivo idoneo a costituire il dies a quo del termine triennale individuato dall’art. 80 comma 10 cit. per i casi privi di rilevanza penale. Detto termine, conseguentemente, non risulta scaduto e il limite temporale invocato dalla parte ricorrente non può attualmente impedire la considerazione dell’inadempimento contestato …nel 2013”.
Il Consiglio di Stato, con la decisione in rassegna, ha però ritenuto diversamente, osservando come la soluzione proposta dal Tar salentino, così come dedotto da parte appellante, obliterasse anzitutto il dato comunitario.
Più nel dettaglio, il Collegio ha anzitutto ritenuto di precisare “…che, come risulta dall’orientamento espresso dalla costante giurisprudenza amministrativa, l’art. 57, § 7, della direttiva 2014/24/UE è norma munita di efficacia diretta e verticale nell’ordinamento interno, che non risultava, peraltro, ancora attuata dall’art. 80, comma 10, del d.lgs. n. 50 del 2016 nella versione vigente prima delle modifiche apportate con il decreto correttivo n. 56 del 2017…” e che lo stesso Consiglio di Stato aveva ritenuto di dover applicare la citata disposizione dell’Ue per un’ipotesi di gara bandita prima delle modifiche apportate dal decreto legislativo correttivo n. 56 del 2017, giusta decisione della stessa Sez. V, del 21 novembre 2018, n. 6576 (nella quale si è affermato “in conclusione, …che nella vigenza dell’art. 80, comma 10, del d.lgs. n. 50 del 2016, prima dell’entrata in vigore della modifica apportata dal d.lgs. n. 56 del 2017, il periodo di esclusione per grave illecito professionale consistito nelle significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, in applicazione diretta della direttiva 2014/24/UE, art. 57, § 7, ha durata triennale dalla data del fatto, vale a dire dalla data di adozione della determinazione dirigenziale di risoluzione unilaterale…”, risultando pertanto non opponibili al concorrente e dunque non rilevanti ai fini dell’ammissione, risoluzioni contrattuali più risalenti rispetto a detto triennio).
Nella fattispecie oggetto della decisione qui in rassegna, tuttavia, la gara si è svolta dopo l’adozione del correttivo, ricadendo pertanto sotto la vigenza dell’art. 80, comma 10, del d.lgs. n. 50 del 2016, nella versione risultante all’esito delle modifiche apportate con il d.lgs. n. 56 del 2017 ed il quale “…àncora la decorrenza del triennio di rilevanza dell’illecito professionale «alla data del suo accertamento definitivo […] nei casi in cui non sia intervenuta sentenza di condanna»…”.
A parere del Collegio, dunque, bisogna, rispetto al caso esaminato, “…fornire adeguata esegesi alla disposizione normativa, essendo necessario comprendere quando l’atto di risoluzione in danno dell’impresa possa dirsi definitivo, ove tale atto non sia stato contestato giudizialmente…”.
La sentenza appellata, osserva ancora il Collegio, ha affermato che la risoluzione in danno per cui era causa sarebbe divenuta definitiva solo dopo il decorso del termine prescrizionale decennale di contestazione della stessa, “…così che essa conserverà valenza potenzialmente ostativa per un tempo di dieci anni (necessari perché il diritto di procedere alla contestazione della disposizione si prescriva), ai quali vanno aggiunti ulteriori tre anni, cioè quelli per i quali, ai sensi dell’art. 80, comma 10, del Codice l’inadempimento può essere contestato all’operatore economico…”.
Di contro, sulla stessa tematica, altro Giudice Amministrativo ha ritenuto che “l’art. 80, comma 5, non contiene alcuna espressa previsione sulla rilevanza temporale dei gravi illeciti professionali, ciò che è coerente con il potere discrezionale di valutazione di tali fattispecie attribuito alla stazione appaltante”, in quanto “una limitazione triennale è invero richiamata dal Pagina 10 di 13 successivo comma 10, ma attiene alla diversa rilevanza della pena accessoria dell’incapacità a contrarre con la P.A. (limitazione che ben si giustifica con la natura necessariamente temporanea della sanzione afflittiva) e non attiene in alcun modo all’esercizio del potere della P.A. di escludere l’operatore economico, ai sensi del comma 5, lett. c), da una procedura di appalto”. Nella sostanza, “le previsioni di durata massima del periodo di interdizione dalle gare si riferisce alle sole condizioni che abbiano efficacia automaticamente escludente e in presenza delle quali la stazione appaltante è priva di poteri di valutazione” (T.A.R. Lazio, sez. I, 8 febbraio 2019, n. 1695).
Orbene, ad avviso del Collegio, entrambe tali interpretazioni “…non si ricavano in alcun modo dalla lettera della norma (e) … non risultano condivisibili…”.
La giurisprudenza amministrativa ha, invero, ritenuto contrastante con il principio di proporzionalità una esclusione che trovi fondamento in una risoluzione in danno dell’impresa adottata più di tre anni prima della pubblicazione del bando di gara, ed ha individuato nel lasso temporale triennale un limite coerente con l’applicazione di tale principio di derivazione eurounitaria (Tar Lombardia, sez. IV, 23 marzo 2017, n. 705).
Il riferimento alla definitività dell’accertamento (peraltro inesistente nel disposto dell’art. 57, § 7, della direttiva 2014/24/UE), ad avviso del Collegio, “…va, dunque, inteso nel senso che il termine decorre da quando è stato adottato l’atto definitivo, cioè di conclusione del procedimento di risoluzione…”.
E ciò, anche in quanto “...del tutto illogico risulterebbe, (…), prevedere un limite temporale di durata della causa di esclusione nel caso in cui la stessa sia stata oggetto di impugnazione (decorrente dalla sentenza definitiva) e invece non prevederlo nel caso di mancata impugnazione, lasciando dunque che la causa possa operare a tempo indeterminato. Nel secondo caso bisognerebbe, semmai, riservare un trattamento migliore a chi non si è opposto alla risoluzione con l’impugnazione, come ad esempio nell’ipotesi disciplinata dall’art. 16 della legge n. 689 del 1981, che permette il pagamento di una sanzione in misura ridotta (la cosiddetta “oblazione”) a chi non impugna l’accertamento dell’infrazione di una violazione di una norma in materia di fattispecie depenalizzate…”.
Da ciò, è dunque derivato l’accoglimento dell’appello, con la riforma della sentenza gravata.

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Rilevanza temporale triennale dei gravi illeciti professionali

Published On: 7 Maggio 2019

La Quinta Sezione del Consiglio di Stato, con la decisione del 06/05/2019 n.2895 che qui si segnala, è tornato a pronunziarsi sulla questione, invero ancora assai dibattuta, della rilevanza temporale dei gravi illeciti professionali di cui all’art. 80, commi 5 e 10 del decreto legislativo 50/2016.
La pronunzia, in particolare, si riferisce ad una fattispecie compiutasi dopo l’adozione del decreto legislativo correttivo n.56/2017, in relaziona alla quale parte ricorrente in prime cure (poi appellante dinanzi al Consiglio di Stato) contestava la sua esclusione dalla gara disposta dalla Stazione appaltante a causa di una risoluzione contrattuale risalente a quasi 5 anni prima (rispetto all’indizione della gara).
IL TAR Puglia, adito in prime cure, aveva respinto il ricorso, “…in ragione della spiccata discrezionalità della valutazione compiuta dall’amministrazione, ritenuta non illogica, né irragionevole…”, ed affermando peraltro come “l’accertamento si considera definitivo ove derivante da atto inoppugnabile o da sentenza passata in giudicato (Consiglio di Stato, Sez. V, 22 giugno 2018 n. 3876). Nella fattispecie di causa, l’accertamento posto in essere dal Comune di **** non è definitivo nei termini sopra indicati, in quanto non inoppugnabile, né definito con giudicato…”, dovendosi ritenere ogni relativa azione di contestazione “…assoggettata al termine di prescrizione ordinario decennale. Detto termine non è ancora decorso e il provvedimento di risoluzione non può dunque considerarsi inoppugnabile…” e risultando le azioni civili nel frattanto intraprese dalla concorrente per avversare quella risoluzione, non coperte da giudicato (avendo natura cautelare e rimanendo esperibile l’azione ordinaria di cognizione: Cassazione Civile, Sez. III, 20 aprile 2018 n. 9830).
Quindi, il Tribunale Amministrativo di prime cure aveva ritenuto non sussistere, nella specie, “…un accertamento definitivo idoneo a costituire il dies a quo del termine triennale individuato dall’art. 80 comma 10 cit. per i casi privi di rilevanza penale. Detto termine, conseguentemente, non risulta scaduto e il limite temporale invocato dalla parte ricorrente non può attualmente impedire la considerazione dell’inadempimento contestato …nel 2013”.
Il Consiglio di Stato, con la decisione in rassegna, ha però ritenuto diversamente, osservando come la soluzione proposta dal Tar salentino, così come dedotto da parte appellante, obliterasse anzitutto il dato comunitario.
Più nel dettaglio, il Collegio ha anzitutto ritenuto di precisare “…che, come risulta dall’orientamento espresso dalla costante giurisprudenza amministrativa, l’art. 57, § 7, della direttiva 2014/24/UE è norma munita di efficacia diretta e verticale nell’ordinamento interno, che non risultava, peraltro, ancora attuata dall’art. 80, comma 10, del d.lgs. n. 50 del 2016 nella versione vigente prima delle modifiche apportate con il decreto correttivo n. 56 del 2017…” e che lo stesso Consiglio di Stato aveva ritenuto di dover applicare la citata disposizione dell’Ue per un’ipotesi di gara bandita prima delle modifiche apportate dal decreto legislativo correttivo n. 56 del 2017, giusta decisione della stessa Sez. V, del 21 novembre 2018, n. 6576 (nella quale si è affermato “in conclusione, …che nella vigenza dell’art. 80, comma 10, del d.lgs. n. 50 del 2016, prima dell’entrata in vigore della modifica apportata dal d.lgs. n. 56 del 2017, il periodo di esclusione per grave illecito professionale consistito nelle significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, in applicazione diretta della direttiva 2014/24/UE, art. 57, § 7, ha durata triennale dalla data del fatto, vale a dire dalla data di adozione della determinazione dirigenziale di risoluzione unilaterale…”, risultando pertanto non opponibili al concorrente e dunque non rilevanti ai fini dell’ammissione, risoluzioni contrattuali più risalenti rispetto a detto triennio).
Nella fattispecie oggetto della decisione qui in rassegna, tuttavia, la gara si è svolta dopo l’adozione del correttivo, ricadendo pertanto sotto la vigenza dell’art. 80, comma 10, del d.lgs. n. 50 del 2016, nella versione risultante all’esito delle modifiche apportate con il d.lgs. n. 56 del 2017 ed il quale “…àncora la decorrenza del triennio di rilevanza dell’illecito professionale «alla data del suo accertamento definitivo […] nei casi in cui non sia intervenuta sentenza di condanna»…”.
A parere del Collegio, dunque, bisogna, rispetto al caso esaminato, “…fornire adeguata esegesi alla disposizione normativa, essendo necessario comprendere quando l’atto di risoluzione in danno dell’impresa possa dirsi definitivo, ove tale atto non sia stato contestato giudizialmente…”.
La sentenza appellata, osserva ancora il Collegio, ha affermato che la risoluzione in danno per cui era causa sarebbe divenuta definitiva solo dopo il decorso del termine prescrizionale decennale di contestazione della stessa, “…così che essa conserverà valenza potenzialmente ostativa per un tempo di dieci anni (necessari perché il diritto di procedere alla contestazione della disposizione si prescriva), ai quali vanno aggiunti ulteriori tre anni, cioè quelli per i quali, ai sensi dell’art. 80, comma 10, del Codice l’inadempimento può essere contestato all’operatore economico…”.
Di contro, sulla stessa tematica, altro Giudice Amministrativo ha ritenuto che “l’art. 80, comma 5, non contiene alcuna espressa previsione sulla rilevanza temporale dei gravi illeciti professionali, ciò che è coerente con il potere discrezionale di valutazione di tali fattispecie attribuito alla stazione appaltante”, in quanto “una limitazione triennale è invero richiamata dal Pagina 10 di 13 successivo comma 10, ma attiene alla diversa rilevanza della pena accessoria dell’incapacità a contrarre con la P.A. (limitazione che ben si giustifica con la natura necessariamente temporanea della sanzione afflittiva) e non attiene in alcun modo all’esercizio del potere della P.A. di escludere l’operatore economico, ai sensi del comma 5, lett. c), da una procedura di appalto”. Nella sostanza, “le previsioni di durata massima del periodo di interdizione dalle gare si riferisce alle sole condizioni che abbiano efficacia automaticamente escludente e in presenza delle quali la stazione appaltante è priva di poteri di valutazione” (T.A.R. Lazio, sez. I, 8 febbraio 2019, n. 1695).
Orbene, ad avviso del Collegio, entrambe tali interpretazioni “…non si ricavano in alcun modo dalla lettera della norma (e) … non risultano condivisibili…”.
La giurisprudenza amministrativa ha, invero, ritenuto contrastante con il principio di proporzionalità una esclusione che trovi fondamento in una risoluzione in danno dell’impresa adottata più di tre anni prima della pubblicazione del bando di gara, ed ha individuato nel lasso temporale triennale un limite coerente con l’applicazione di tale principio di derivazione eurounitaria (Tar Lombardia, sez. IV, 23 marzo 2017, n. 705).
Il riferimento alla definitività dell’accertamento (peraltro inesistente nel disposto dell’art. 57, § 7, della direttiva 2014/24/UE), ad avviso del Collegio, “…va, dunque, inteso nel senso che il termine decorre da quando è stato adottato l’atto definitivo, cioè di conclusione del procedimento di risoluzione…”.
E ciò, anche in quanto “...del tutto illogico risulterebbe, (…), prevedere un limite temporale di durata della causa di esclusione nel caso in cui la stessa sia stata oggetto di impugnazione (decorrente dalla sentenza definitiva) e invece non prevederlo nel caso di mancata impugnazione, lasciando dunque che la causa possa operare a tempo indeterminato. Nel secondo caso bisognerebbe, semmai, riservare un trattamento migliore a chi non si è opposto alla risoluzione con l’impugnazione, come ad esempio nell’ipotesi disciplinata dall’art. 16 della legge n. 689 del 1981, che permette il pagamento di una sanzione in misura ridotta (la cosiddetta “oblazione”) a chi non impugna l’accertamento dell’infrazione di una violazione di una norma in materia di fattispecie depenalizzate…”.
Da ciò, è dunque derivato l’accoglimento dell’appello, con la riforma della sentenza gravata.

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