L'omessa separata indicazione dei costi della manodopera secondo la CGUE

Published On: 15 Maggio 2019Categories: Appalti Pubblici e Concessioni, Normativa

Con la sentenza del 3 maggio 2019 nella causa, n. C- 309/18, la CGUE si è pronunciata sulla questione dell’esclusione da una procedura di appalto pubblico di un’azienda, per omessa separata indicazione dei costi della manodopera, sollevata in via pregiudiziale dal Tribunale Amministrativo del Lazio (con ordinanza numero 4562 del 20 marzo 2018), sull’interpretazione della Direttiva 2014/24/UE che abroga la Direttiva 2004/18/CE in relazione ai principi del diritto dell’Unione Europea in materia di appalti pubblici.
In particolare, i Giudici remittenti avevano richiesto alla CGUE di pronunciarsi sulla compatibilità con i principi generali europei della tutela del legittimo affidamento, di certezza del diritto e di proporzionalità della normativa interna – e cioè, dell’art. 95, comma 10 del decreto legislativo 50/2016 – nella parte in cui ha espressamente previsto l’obbligo per i partecipanti di indicare nell’offerta economica i propri costi della manodopera, escludendo al contempo la facoltà per l’amministrazione aggiudicatrice di attivare il soccorso istruttorio in caso di mancata indicazione separata.
E ciò, con particolare riferimento al caso in cui l’offerta economica presentata non riportava l’indicazione separata dei costi della manodopera, essendo stata però redatta dal partecipante in conformità alla documentazione all’uopo predisposta dall’amministrazione aggiudicatrice (e senza che peraltro si ponesse, nello specifico, alcun dubbio sul rispetto sostanziale delle norme relative ai costi della manodopera).
La Corte di Giustizia dell’UE, nel risolvere la questione interpretativa sottoposta al suo esame, ha anzitutto richiamato la propria precedente giurisprudenza formatasi in materia, ricordando anzitutto come “..il principio della parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza devono essere interpretati nel senso che ostano all’esclusione di un operatore economico da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico a seguito del mancato rispetto, da parte di tale operatore, di un obbligo che non risulta espressamente dai documenti relativi a tale procedura o dal diritto nazionale vigente, bensì da un’interpretazione di tale diritto e di tali documenti nonché dal meccanismo diretto a colmare, con un intervento delle autorità o dei giudici amministrativi nazionali, le lacune presenti in tali documenti (sentenza del 2 giugno 2016, Pizzo, C27/15, EU:C:2016:404, punto 51; v., in tal senso, ordinanza del 10 novembre 2016, Spinosa Costruzioni Generali e Melfi, C162/16, non pubblicata, EU:C:2016:870, punto 32)…”.
Tali stessi principi generali, tuttavia, secondo la stessa Corte, “..non possono invece, di norma, ostare all’esclusione di un operatore economico dalla procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico a causa del mancato rispetto, da parte del medesimo, di un obbligo imposto espressamente, a pena di esclusione, dai documenti relativi alla stessa procedura o dalle disposizioni del diritto nazionale in vigore..”.
Conclusione questa a cui la Corte è pervenuta, osservando, per un verso, che se fosse possibile rettificare a qualsiasi omissione imposta espressivamente dai documenti relativi all’appalto pubblico e comportanti l’esclusione, si potrebbe disattendere qualsiasi disposizione di tal tipo (cfr. per analogia, sentenze del 6 novembre 2014, Cartiera dell’Adda, C‑42/13, EU:C:2014:2345, punti 46 e 48; del 2 giugno 2016, Pizzo, C‑27/15, EU:C:2016:404, punto 49, e del 10 novembre 2016, Ciclat, C‑199/15, EU:C:2016:853, punto 30); e, per altro verso che l’articolo 56, paragrafo 3, della direttiva 2014/24 autorizza gli Stati membri a limitare i casi in cui le amministrazioni aggiudicatrici possono chiedere di ricorrere al soccorso istruttorio, così modificando o integrando la documentazione da loro presentata.
Infine la Corte osserva che “…conformemente al principio di proporzionalità, che costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, una normativa nazionale riguardante le procedure d’appalto pubblico finalizzata a garantire la parità di trattamento degli offerenti non deve eccedere quanto necessario per raggiungere l’obiettivo perseguito (v., in tal senso, sentenza dell’8 febbraio 2018, Lloyd’s of London, C‑144/17, EU:C:2018:78, punto 32 e giurisprudenza ivi citata) …”.
Sulla scorta di tali coordinate, la Corte ha quindi ed in primo luogo rilevato, tenuto conto degli elementi forniti dal giudice del rinvio, che il bando di gara del procedimento principale, pur non richiamando espressamente l’obbligo incombente sui candidati previsto all’articolo 95, comma 10, del codice dei contratti pubblici ed avente ad oggetto la separata indicazione nell’offerta economica dei costi della manodopera, conteneva comunque un chiaro e generale rinvio alle norme del codice dei contratti pubblici; e quindi che “..qualsiasi offerente ragionevolmente informato e normalmente diligente era, in linea di principio, in grado di prendere conoscenza delle norme pertinenti applicabili alla procedura di gara di cui al procedimento principale, incluso l’obbligo di indicare nell’offerta economica i costi della manodopera…”.
Quindi, affermato che “…i principi della parità di trattamento e di trasparenza non ostano a una normativa nazionale […]secondo la quale la mancata indicazione dei costi della manodopera comporta l’esclusione dell’offerente interessato senza possibilità di ricorrere alla procedura di soccorso istruttorio, anche in un caso in cui il bando di gara non richiamasse espressamente l’obbligo legale di fornire detta indicazione, la Corte ha rimesso al giudice del rinvio ogni correlata verifica sulla documentazione di gara, onde appurare se per gli offerenti fosse in effetti materialmente impossibile indicare i costi della manodopera conformemente all’articolo 95, comma 10, del codice dei contratti pubblici.
E ciò, rilevando come “…nell’ipotesi in cui lo stesso giudice accertasse che effettivamente ciò è avvenuto[…], in tal caso, in considerazione dei principi della certezza del diritto, di trasparenza e di proporzionalità, l’amministrazione aggiudicatrice può accordare a un simile offerente la possibilità di sanare la sua situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla legislazione nazionale in materia entro un termine stabilito dalla stessa amministrazione aggiudicatrice (v., in tal senso, sentenza del 2 giugno 2016, Pizzo, C‑27/15, EU:C:2016:404, punto 51, e ordinanza del 10 novembre 2016, Spinosa Costruzioni Generali e Melfi, C‑162/16, non pubblicata, EU:C:2016:870, punto 32)…”.
Conclusivamente, la Corte ha affermato il seguente principio: “I principi della certezza del diritto, della parità di trattamento e di trasparenza, quali contemplati nella direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, secondo la quale la mancata indicazione separata dei costi della manodopera, in un’offerta economica presentata nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l’esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d’appalto, sempreché tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione. Tuttavia, se le disposizioni della gara d’appalto non consentono agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, i principi di trasparenza e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla possibilità di consentire agli offerenti di sanare la loro situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia entro un termine stabilito dall’amministrazione aggiudicatrice”.
 

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L'omessa separata indicazione dei costi della manodopera secondo la CGUE

Published On: 15 Maggio 2019

Con la sentenza del 3 maggio 2019 nella causa, n. C- 309/18, la CGUE si è pronunciata sulla questione dell’esclusione da una procedura di appalto pubblico di un’azienda, per omessa separata indicazione dei costi della manodopera, sollevata in via pregiudiziale dal Tribunale Amministrativo del Lazio (con ordinanza numero 4562 del 20 marzo 2018), sull’interpretazione della Direttiva 2014/24/UE che abroga la Direttiva 2004/18/CE in relazione ai principi del diritto dell’Unione Europea in materia di appalti pubblici.
In particolare, i Giudici remittenti avevano richiesto alla CGUE di pronunciarsi sulla compatibilità con i principi generali europei della tutela del legittimo affidamento, di certezza del diritto e di proporzionalità della normativa interna – e cioè, dell’art. 95, comma 10 del decreto legislativo 50/2016 – nella parte in cui ha espressamente previsto l’obbligo per i partecipanti di indicare nell’offerta economica i propri costi della manodopera, escludendo al contempo la facoltà per l’amministrazione aggiudicatrice di attivare il soccorso istruttorio in caso di mancata indicazione separata.
E ciò, con particolare riferimento al caso in cui l’offerta economica presentata non riportava l’indicazione separata dei costi della manodopera, essendo stata però redatta dal partecipante in conformità alla documentazione all’uopo predisposta dall’amministrazione aggiudicatrice (e senza che peraltro si ponesse, nello specifico, alcun dubbio sul rispetto sostanziale delle norme relative ai costi della manodopera).
La Corte di Giustizia dell’UE, nel risolvere la questione interpretativa sottoposta al suo esame, ha anzitutto richiamato la propria precedente giurisprudenza formatasi in materia, ricordando anzitutto come “..il principio della parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza devono essere interpretati nel senso che ostano all’esclusione di un operatore economico da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico a seguito del mancato rispetto, da parte di tale operatore, di un obbligo che non risulta espressamente dai documenti relativi a tale procedura o dal diritto nazionale vigente, bensì da un’interpretazione di tale diritto e di tali documenti nonché dal meccanismo diretto a colmare, con un intervento delle autorità o dei giudici amministrativi nazionali, le lacune presenti in tali documenti (sentenza del 2 giugno 2016, Pizzo, C27/15, EU:C:2016:404, punto 51; v., in tal senso, ordinanza del 10 novembre 2016, Spinosa Costruzioni Generali e Melfi, C162/16, non pubblicata, EU:C:2016:870, punto 32)…”.
Tali stessi principi generali, tuttavia, secondo la stessa Corte, “..non possono invece, di norma, ostare all’esclusione di un operatore economico dalla procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico a causa del mancato rispetto, da parte del medesimo, di un obbligo imposto espressamente, a pena di esclusione, dai documenti relativi alla stessa procedura o dalle disposizioni del diritto nazionale in vigore..”.
Conclusione questa a cui la Corte è pervenuta, osservando, per un verso, che se fosse possibile rettificare a qualsiasi omissione imposta espressivamente dai documenti relativi all’appalto pubblico e comportanti l’esclusione, si potrebbe disattendere qualsiasi disposizione di tal tipo (cfr. per analogia, sentenze del 6 novembre 2014, Cartiera dell’Adda, C‑42/13, EU:C:2014:2345, punti 46 e 48; del 2 giugno 2016, Pizzo, C‑27/15, EU:C:2016:404, punto 49, e del 10 novembre 2016, Ciclat, C‑199/15, EU:C:2016:853, punto 30); e, per altro verso che l’articolo 56, paragrafo 3, della direttiva 2014/24 autorizza gli Stati membri a limitare i casi in cui le amministrazioni aggiudicatrici possono chiedere di ricorrere al soccorso istruttorio, così modificando o integrando la documentazione da loro presentata.
Infine la Corte osserva che “…conformemente al principio di proporzionalità, che costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, una normativa nazionale riguardante le procedure d’appalto pubblico finalizzata a garantire la parità di trattamento degli offerenti non deve eccedere quanto necessario per raggiungere l’obiettivo perseguito (v., in tal senso, sentenza dell’8 febbraio 2018, Lloyd’s of London, C‑144/17, EU:C:2018:78, punto 32 e giurisprudenza ivi citata) …”.
Sulla scorta di tali coordinate, la Corte ha quindi ed in primo luogo rilevato, tenuto conto degli elementi forniti dal giudice del rinvio, che il bando di gara del procedimento principale, pur non richiamando espressamente l’obbligo incombente sui candidati previsto all’articolo 95, comma 10, del codice dei contratti pubblici ed avente ad oggetto la separata indicazione nell’offerta economica dei costi della manodopera, conteneva comunque un chiaro e generale rinvio alle norme del codice dei contratti pubblici; e quindi che “..qualsiasi offerente ragionevolmente informato e normalmente diligente era, in linea di principio, in grado di prendere conoscenza delle norme pertinenti applicabili alla procedura di gara di cui al procedimento principale, incluso l’obbligo di indicare nell’offerta economica i costi della manodopera…”.
Quindi, affermato che “…i principi della parità di trattamento e di trasparenza non ostano a una normativa nazionale […]secondo la quale la mancata indicazione dei costi della manodopera comporta l’esclusione dell’offerente interessato senza possibilità di ricorrere alla procedura di soccorso istruttorio, anche in un caso in cui il bando di gara non richiamasse espressamente l’obbligo legale di fornire detta indicazione, la Corte ha rimesso al giudice del rinvio ogni correlata verifica sulla documentazione di gara, onde appurare se per gli offerenti fosse in effetti materialmente impossibile indicare i costi della manodopera conformemente all’articolo 95, comma 10, del codice dei contratti pubblici.
E ciò, rilevando come “…nell’ipotesi in cui lo stesso giudice accertasse che effettivamente ciò è avvenuto[…], in tal caso, in considerazione dei principi della certezza del diritto, di trasparenza e di proporzionalità, l’amministrazione aggiudicatrice può accordare a un simile offerente la possibilità di sanare la sua situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla legislazione nazionale in materia entro un termine stabilito dalla stessa amministrazione aggiudicatrice (v., in tal senso, sentenza del 2 giugno 2016, Pizzo, C‑27/15, EU:C:2016:404, punto 51, e ordinanza del 10 novembre 2016, Spinosa Costruzioni Generali e Melfi, C‑162/16, non pubblicata, EU:C:2016:870, punto 32)…”.
Conclusivamente, la Corte ha affermato il seguente principio: “I principi della certezza del diritto, della parità di trattamento e di trasparenza, quali contemplati nella direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, secondo la quale la mancata indicazione separata dei costi della manodopera, in un’offerta economica presentata nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l’esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d’appalto, sempreché tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione. Tuttavia, se le disposizioni della gara d’appalto non consentono agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, i principi di trasparenza e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla possibilità di consentire agli offerenti di sanare la loro situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia entro un termine stabilito dall’amministrazione aggiudicatrice”.
 

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