Incarichi dirigenziali: lecito che i direttori dei musei siano stranieri

Published On: 19 Luglio 2018Categories: Concorsi pubblici, Europa, Rapporti di lavoro pubblico e privato, Varie

L’Adunanza Plenaria, con la decisione del 25 giugno 2018, n. 9, si è pronunziata sulla compatibilità comunitaria di alcune norme regolamentari nazionali (art. 1, comma 1, lett. a, del regolamento emanato con il d.P.C.M. n. 174 del 1994, come richiamato dal d.P.R. n. 487 del 1994) che richiedono la cittadinanza italiana per acquisire lo status di dirigente dello Stato, definendo le articolate questioni rimesse dalla Quinta Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza in parte “definitiva” e in parte “parziale”, con contestuale ordinanza di trasmissione all’Adunanza Plenaria del 2 febbraio 2018, n. 677 (Presidente Maruotti, Estensore Gambato Spisani), nell’ambito del noto contenzioso che ha riguardato la nomina di alcuni Direttori di “Poli Museali di rilevante interesse nazionale”.
L’Adunanza Plenaria, all’esito dell’articolata ricostruzione contenuta nella decisione qui segnalata, ha anzitutto chiarito come, in applicazione del principio della prevalenza del diritto eurounitario, sia preclusa al Giudice nazionale la possibilità di applicare qualunque norma interna  – anche di rango regolamentare – che risulti in contrasto con suddetto diritto,  ove non sia possibile un’interpretazione di carattere conformativo.
Tale principio risulta tanto più pregnante nelle ipotesi in cui – come nel caso sottoposto all’attenzione del Supremo Consesso – il Giudice nazionale debba riconoscere diretta applicazione a una disposizione self-executing del diritto UE (nella specie, il paragrafo 3 dell’articolo 45 del TFUE sulla possibilità di limitare il principio della libertà di circolazione dei lavoratori).
La sentenza in commento tra l’altro, ha chiarito che non appare condivisibile la tesi secondo cui la posizione di Direttore di polo museale di rilevante interesse nazionale, presenti un carattere di apicalità nell’ambito dell’amministrazione statale e comporti pertanto, l’esercizio di “funzioni di vertice amministrativo”.
L’applicazione della “riserva di nazionalità” dunque, deve essere limitata ai casi strettamente necessari.
L’Adunanza Plenaria inoltre, ha osservato che la medesima qualificazione in termini di apicalità non risulta giustificata neppure se riferita in modo indistinto a tutte le posizioni dirigenziali dell’amministrazione statale così come richiamate dalla riserva prevista dall’articolo 1, comma 1, lettera a) del Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 174/1994, poiché tale elencazione prescinde dall’esame delle reali funzioni esercitate in concreto.
Non sussiste infatti, alcuna ragione per riconoscere indistintamente l’esercizio dell’autorità pubblica e la responsabilità di salvaguardare gli interessi generali dello Stato a qualunque funzionario di livello dirigenziale.
L’Alto Consesso non ha ritenuto condivisibile altresì, la tesi sostenuta dall’ordinanza di rimessione secondo cui, ai fini dell’applicazione dell’eccezione di cui al paragrafo 4 dell’articolo 45 del TFUE, non potrebbe richiamarsi il “criterio della prevalenza fra funzioni”, potendo tale eccezione essere invocata a fronte di qualunque posizione funzionale che implichi – in qualunque misura – l’esercizio di funzioni di stampo autoritativo.
Conseguentemente, e nel definire integralmente la controversia ai sensi dell’art. 99, comma 4, CPA, l’Adunanza Plenaria ha ritenuto di formulare (anche nell’interesse della legge) i seguenti principi di diritto:
1. “Il Giudice amministrativo provvede in ogni caso a non dare applicazione a un atto normativo nazionale in contrasto con il diritto dell’Unione europea”;
2. “L’articolo 1, comma 1 del d.P.C.M. 174 del 1994 e l’articolo 2, comma 1 del d.P.R. 487 del 1994, laddove impediscono in assoluto ai cittadini di altri Stati membri dell’UE di assumere i posti dei livelli dirigenziali delle amministrazioni dello Stato e laddove non consentono una verifica in concreto circa la sussistenza o meno del prevalente esercizio di funzioni autoritative in relazione alla singola posizione dirigenziale, risultano in contrasto con il paragrafo 2 dell’articolo 45 del TFUE e non possono trovare conseguentemente applicazione”.

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Incarichi dirigenziali: lecito che i direttori dei musei siano stranieri

Published On: 19 Luglio 2018

L’Adunanza Plenaria, con la decisione del 25 giugno 2018, n. 9, si è pronunziata sulla compatibilità comunitaria di alcune norme regolamentari nazionali (art. 1, comma 1, lett. a, del regolamento emanato con il d.P.C.M. n. 174 del 1994, come richiamato dal d.P.R. n. 487 del 1994) che richiedono la cittadinanza italiana per acquisire lo status di dirigente dello Stato, definendo le articolate questioni rimesse dalla Quinta Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza in parte “definitiva” e in parte “parziale”, con contestuale ordinanza di trasmissione all’Adunanza Plenaria del 2 febbraio 2018, n. 677 (Presidente Maruotti, Estensore Gambato Spisani), nell’ambito del noto contenzioso che ha riguardato la nomina di alcuni Direttori di “Poli Museali di rilevante interesse nazionale”.
L’Adunanza Plenaria, all’esito dell’articolata ricostruzione contenuta nella decisione qui segnalata, ha anzitutto chiarito come, in applicazione del principio della prevalenza del diritto eurounitario, sia preclusa al Giudice nazionale la possibilità di applicare qualunque norma interna  – anche di rango regolamentare – che risulti in contrasto con suddetto diritto,  ove non sia possibile un’interpretazione di carattere conformativo.
Tale principio risulta tanto più pregnante nelle ipotesi in cui – come nel caso sottoposto all’attenzione del Supremo Consesso – il Giudice nazionale debba riconoscere diretta applicazione a una disposizione self-executing del diritto UE (nella specie, il paragrafo 3 dell’articolo 45 del TFUE sulla possibilità di limitare il principio della libertà di circolazione dei lavoratori).
La sentenza in commento tra l’altro, ha chiarito che non appare condivisibile la tesi secondo cui la posizione di Direttore di polo museale di rilevante interesse nazionale, presenti un carattere di apicalità nell’ambito dell’amministrazione statale e comporti pertanto, l’esercizio di “funzioni di vertice amministrativo”.
L’applicazione della “riserva di nazionalità” dunque, deve essere limitata ai casi strettamente necessari.
L’Adunanza Plenaria inoltre, ha osservato che la medesima qualificazione in termini di apicalità non risulta giustificata neppure se riferita in modo indistinto a tutte le posizioni dirigenziali dell’amministrazione statale così come richiamate dalla riserva prevista dall’articolo 1, comma 1, lettera a) del Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 174/1994, poiché tale elencazione prescinde dall’esame delle reali funzioni esercitate in concreto.
Non sussiste infatti, alcuna ragione per riconoscere indistintamente l’esercizio dell’autorità pubblica e la responsabilità di salvaguardare gli interessi generali dello Stato a qualunque funzionario di livello dirigenziale.
L’Alto Consesso non ha ritenuto condivisibile altresì, la tesi sostenuta dall’ordinanza di rimessione secondo cui, ai fini dell’applicazione dell’eccezione di cui al paragrafo 4 dell’articolo 45 del TFUE, non potrebbe richiamarsi il “criterio della prevalenza fra funzioni”, potendo tale eccezione essere invocata a fronte di qualunque posizione funzionale che implichi – in qualunque misura – l’esercizio di funzioni di stampo autoritativo.
Conseguentemente, e nel definire integralmente la controversia ai sensi dell’art. 99, comma 4, CPA, l’Adunanza Plenaria ha ritenuto di formulare (anche nell’interesse della legge) i seguenti principi di diritto:
1. “Il Giudice amministrativo provvede in ogni caso a non dare applicazione a un atto normativo nazionale in contrasto con il diritto dell’Unione europea”;
2. “L’articolo 1, comma 1 del d.P.C.M. 174 del 1994 e l’articolo 2, comma 1 del d.P.R. 487 del 1994, laddove impediscono in assoluto ai cittadini di altri Stati membri dell’UE di assumere i posti dei livelli dirigenziali delle amministrazioni dello Stato e laddove non consentono una verifica in concreto circa la sussistenza o meno del prevalente esercizio di funzioni autoritative in relazione alla singola posizione dirigenziale, risultano in contrasto con il paragrafo 2 dell’articolo 45 del TFUE e non possono trovare conseguentemente applicazione”.

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