Dovere di riesame dell’interdittiva antimafia alla scadenza del termine annuale

Published On: 20 Dicembre 2021Categories: Pubblica Amministrazione

La Terza Sezione del Consiglio di Stato, con la recente sentenza del 13 dicembre 2021 n. 8309, si è pronunziata sulla portata interpretativa della disciplina di cui all’articolo 86, comma 2, del decreto legislativo numero 159 del 2011, affermando interessanti principi in ordine agli effetti e alle conseguenze che derivano dal decorso del termine annuale di validità dell’informativa antimafia.
Il contenzioso da cui è scaturita la decisione in rassegna verteva, invero, sulla richiamata disposizione laddove in particolare dispone che “…l’informazione antimafia, acquisita dai soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, con le modalità di cui all’articolo 92, ha una validità di dodici mesi dalla data dell’acquisizione, salvo che non ricorrano le modificazioni di cui al comma 3…”.
Ad avviso del ricorrente, già soccombente in prime cure e poi appellante dinnanzi al Consiglio di Stato, tale norma doveva e poteva intendersi nel senso che, al maturare della predetta scadenza annuale, si verificasse – ex lege – una caducazione automatica degli effetti interdittivi dell’informazione antimafia, senza darsi, a carico del soggetto attinto dall’interdittiva, alcun onere di provare eventuali sopravvenienze idonee ad ottenere un’informazione liberatoria (onere che, peraltro, il ricorrente-appellante rilevava di avere pienamente assolto mediante la dimostrazione della immediata cessazione di ogni qualsiasi rapporto con i soggetti che la Prefettura aveva ritenuto in “odore di mafia”, facendo così venir meno ogni possibile pericolo di infiltrazione nel mercato delle commesse pubbliche), e spettando, al contrario, alla Pubblica Amministrazione “dimostrare la persistenza delle ragioni che hanno condotto all’adozione del provvedimento interdittivo” (per procedere al suo eventuale rinnovo, una volta “scaduto”).
La Terza Sezione, confermando il dictum di primo grado, non ha ritenuto di condividere tale impostazione ed ha respinto l’appello, anche alla luce dei propri precedenti e di quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la nota sentenza n. 57 del 26 marzo 2020.
In particolare, la Sezione, ragionando proprio sul “fattore temporale”, introdotto dalla citata disposizione del Codice antimafia, ha ribadito che “…il «venir meno delle circostanze rilevanti» di cui all’art. 91, comma 5, del d. lgs. n. 159 del 2011, non dipende dal mero trascorrere del tempo in sé, ma dal sopraggiungere di obiettivi elementi diversi o contrari che ne facciano venir meno la portata sintomatica, in quanto ne controbilanciano, smentiscono e superano la forza indiziante…”, dovendosi, in ogni caso, tener conto “… della oggettiva necessità che … la Prefettura provveda ad una rivalutazione aggiornata del quadro istruttorio, sul presupposto che questo non può conservare piena e immutata concludenza oltre detto limite temporale…”.
In tal modo, la Terza Sezione ha colto l’occasione per precisare ulteriormente la ratio della norma in argomento, riconoscendo – sulla scia di quanto in particolare affermato dalla Corte Costituzionale, nella citata decisione 57/2020 – al carattere temporaneo o provvisorio della valutazione prefettizia e della connessa misura antimafia l’essenziale finalità di assicurare che detta misura “agganciata com’è al rischio (e non già all’infiltrazione), non rimanga cristallizzata in aeternum, ma sia funzionale a prevenire e reindirizzare l’impresa verso schemi pienamente leciti e lealmente concorrenziali, nell’interesse dell’imprenditore a riprendere le redini dell’impresa e di quello, generale, a restituire al mercato una risorsa sana e produttiva quanto mai preziosa. È questo il senso della disposizione dell’art. 86, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011, secondo il quale l’informativa antimafia ha una validità limitata di dodici mesi, decorsi i quali occorre procedere alla verifica della persistenza o meno delle circostanze poste a fondamento dell’interdittiva con specifico riferimento all’attualità, in guisa da prevenire minacce reali e presenti e non pericoli ipotetici o pregressi”.
In tal senso, la pronuncia in rassegna ha ribadito che “…il decorso del termine annuale ex art. 86, comma 2, d.lvo n. 159/2011 non produce ex se la perdita di efficacia del provvedimento interdittivo, il quale, una volta spirato il termine suindicato, dovrebbe considerarsi tamquam non esset, ma produce l’effetto (strumentale e procedimentale) di imporre all’Autorità prefettizia il riesame della vicenda complessiva, ergo dei sintomi di condizionamento dai quali era stato distillato il pericolo infiltrativo, ai fini dell’aggiornamento della originaria prognosi interdittiva”, col che, ponendo almeno al centro “…l’esigenza di non prefissare rigidamente la durata della vita del provvedimento interdittivo, ma di commisurarla alla reale natura ed intensità dell’esigenza preventiva cui lo stesso è preordinato, consentendo al soggetto interessato (titolare quantomeno di un potere di impulso) ed all’Amministrazione di apprezzare, in relazione alla concreta situazione ostativa ed alla potenzialità evolutiva che la stessa presenta, la sussistenza dei presupposti per procedere alla revisione, in chiave liberatoria, del provvedimento originario…”.
Con l’occasione, altresì, la Sezione ha puntualizzato che “… al decorso del suddetto termine annuale … può essere attribuito l’effetto di … legittimare il soggetto interdetto a presentare un’istanza volta a sollecitare il riesame del provvedimento medesimo, alla luce delle circostanze sopravvenute alla sua adozione e tali da giustificare la rivalutazione da parte della Prefettura dei relativi presupposti, ovvero consentire recta via alla Prefettura di procedere alla attualizzazione della prognosi infiltrativa, laddove sia venuta a conoscenza di circostanze suscettibili di estinguere o attenuare il pericolo di condizionamento mafioso”, aggiungendo peraltro che “…la «validità» a termine dell’informativa antimafia … può essere correttamente riferita alla prognosi interdittiva … la cui intangibilità resta circoscritta al suindicato orizzonte temporale, con la conseguente esigenza del suo aggiornamento laddove si siano verificate circostanze meritevoli di considerazione ai fini della verifica della sua persistente attualità, ferma restando l’efficacia, nelle more e fino alla sua formale revoca, del provvedimento interdittivo e del connesso regime inibitorio…”.
Sicché – contrariamente a quanto argomentato dal ricorrente-appellante – può concludersi che il decorso del termine annuale non fa “scadere” gli effetti interdittivi del provvedimento e non ne determina la caducazione immediata o automatica, ma, su impulso del soggetto gravato dalla misura afflittiva, genera il dovere dell’Amministrazione prefettizia di valutare la sussistenza dei presupposti per la “liberazione” dal regime interdittivo imposto.
In altre parole, alla scadenza dei dodici mesi, l’interessato potrà proporre istanza di riesame del provvedimento, comunque motivata alla luce delle sopravvenienze “favorevoli” che si siano verificate ed il Prefetto avrà l’obbligo di procedere alla verifica della persistenza o meno delle circostanze poste a fondamento della misura, al fine o di confermare l’interdittiva o, alternativamente, di “liberare” l’impresa.
L’importante arresto giurisprudenziale – benché la tematica risulti ancora “affrancata” dal regime di garanzie proprio dei principi più liberali dell’ordinamento penalistico – fa comunque segnare un “passo avanti” almeno sul piano dei principi dell’ordinamento amministrativo, rimandando, tutte le volte che se ne presenta l’occasione e mai velatamente, a quello della motivazione nell’esercizio dell’azione amministrativa in senso stretto.

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Dovere di riesame dell’interdittiva antimafia alla scadenza del termine annuale

Published On: 20 Dicembre 2021

La Terza Sezione del Consiglio di Stato, con la recente sentenza del 13 dicembre 2021 n. 8309, si è pronunziata sulla portata interpretativa della disciplina di cui all’articolo 86, comma 2, del decreto legislativo numero 159 del 2011, affermando interessanti principi in ordine agli effetti e alle conseguenze che derivano dal decorso del termine annuale di validità dell’informativa antimafia.
Il contenzioso da cui è scaturita la decisione in rassegna verteva, invero, sulla richiamata disposizione laddove in particolare dispone che “…l’informazione antimafia, acquisita dai soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, con le modalità di cui all’articolo 92, ha una validità di dodici mesi dalla data dell’acquisizione, salvo che non ricorrano le modificazioni di cui al comma 3…”.
Ad avviso del ricorrente, già soccombente in prime cure e poi appellante dinnanzi al Consiglio di Stato, tale norma doveva e poteva intendersi nel senso che, al maturare della predetta scadenza annuale, si verificasse – ex lege – una caducazione automatica degli effetti interdittivi dell’informazione antimafia, senza darsi, a carico del soggetto attinto dall’interdittiva, alcun onere di provare eventuali sopravvenienze idonee ad ottenere un’informazione liberatoria (onere che, peraltro, il ricorrente-appellante rilevava di avere pienamente assolto mediante la dimostrazione della immediata cessazione di ogni qualsiasi rapporto con i soggetti che la Prefettura aveva ritenuto in “odore di mafia”, facendo così venir meno ogni possibile pericolo di infiltrazione nel mercato delle commesse pubbliche), e spettando, al contrario, alla Pubblica Amministrazione “dimostrare la persistenza delle ragioni che hanno condotto all’adozione del provvedimento interdittivo” (per procedere al suo eventuale rinnovo, una volta “scaduto”).
La Terza Sezione, confermando il dictum di primo grado, non ha ritenuto di condividere tale impostazione ed ha respinto l’appello, anche alla luce dei propri precedenti e di quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la nota sentenza n. 57 del 26 marzo 2020.
In particolare, la Sezione, ragionando proprio sul “fattore temporale”, introdotto dalla citata disposizione del Codice antimafia, ha ribadito che “…il «venir meno delle circostanze rilevanti» di cui all’art. 91, comma 5, del d. lgs. n. 159 del 2011, non dipende dal mero trascorrere del tempo in sé, ma dal sopraggiungere di obiettivi elementi diversi o contrari che ne facciano venir meno la portata sintomatica, in quanto ne controbilanciano, smentiscono e superano la forza indiziante…”, dovendosi, in ogni caso, tener conto “… della oggettiva necessità che … la Prefettura provveda ad una rivalutazione aggiornata del quadro istruttorio, sul presupposto che questo non può conservare piena e immutata concludenza oltre detto limite temporale…”.
In tal modo, la Terza Sezione ha colto l’occasione per precisare ulteriormente la ratio della norma in argomento, riconoscendo – sulla scia di quanto in particolare affermato dalla Corte Costituzionale, nella citata decisione 57/2020 – al carattere temporaneo o provvisorio della valutazione prefettizia e della connessa misura antimafia l’essenziale finalità di assicurare che detta misura “agganciata com’è al rischio (e non già all’infiltrazione), non rimanga cristallizzata in aeternum, ma sia funzionale a prevenire e reindirizzare l’impresa verso schemi pienamente leciti e lealmente concorrenziali, nell’interesse dell’imprenditore a riprendere le redini dell’impresa e di quello, generale, a restituire al mercato una risorsa sana e produttiva quanto mai preziosa. È questo il senso della disposizione dell’art. 86, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011, secondo il quale l’informativa antimafia ha una validità limitata di dodici mesi, decorsi i quali occorre procedere alla verifica della persistenza o meno delle circostanze poste a fondamento dell’interdittiva con specifico riferimento all’attualità, in guisa da prevenire minacce reali e presenti e non pericoli ipotetici o pregressi”.
In tal senso, la pronuncia in rassegna ha ribadito che “…il decorso del termine annuale ex art. 86, comma 2, d.lvo n. 159/2011 non produce ex se la perdita di efficacia del provvedimento interdittivo, il quale, una volta spirato il termine suindicato, dovrebbe considerarsi tamquam non esset, ma produce l’effetto (strumentale e procedimentale) di imporre all’Autorità prefettizia il riesame della vicenda complessiva, ergo dei sintomi di condizionamento dai quali era stato distillato il pericolo infiltrativo, ai fini dell’aggiornamento della originaria prognosi interdittiva”, col che, ponendo almeno al centro “…l’esigenza di non prefissare rigidamente la durata della vita del provvedimento interdittivo, ma di commisurarla alla reale natura ed intensità dell’esigenza preventiva cui lo stesso è preordinato, consentendo al soggetto interessato (titolare quantomeno di un potere di impulso) ed all’Amministrazione di apprezzare, in relazione alla concreta situazione ostativa ed alla potenzialità evolutiva che la stessa presenta, la sussistenza dei presupposti per procedere alla revisione, in chiave liberatoria, del provvedimento originario…”.
Con l’occasione, altresì, la Sezione ha puntualizzato che “… al decorso del suddetto termine annuale … può essere attribuito l’effetto di … legittimare il soggetto interdetto a presentare un’istanza volta a sollecitare il riesame del provvedimento medesimo, alla luce delle circostanze sopravvenute alla sua adozione e tali da giustificare la rivalutazione da parte della Prefettura dei relativi presupposti, ovvero consentire recta via alla Prefettura di procedere alla attualizzazione della prognosi infiltrativa, laddove sia venuta a conoscenza di circostanze suscettibili di estinguere o attenuare il pericolo di condizionamento mafioso”, aggiungendo peraltro che “…la «validità» a termine dell’informativa antimafia … può essere correttamente riferita alla prognosi interdittiva … la cui intangibilità resta circoscritta al suindicato orizzonte temporale, con la conseguente esigenza del suo aggiornamento laddove si siano verificate circostanze meritevoli di considerazione ai fini della verifica della sua persistente attualità, ferma restando l’efficacia, nelle more e fino alla sua formale revoca, del provvedimento interdittivo e del connesso regime inibitorio…”.
Sicché – contrariamente a quanto argomentato dal ricorrente-appellante – può concludersi che il decorso del termine annuale non fa “scadere” gli effetti interdittivi del provvedimento e non ne determina la caducazione immediata o automatica, ma, su impulso del soggetto gravato dalla misura afflittiva, genera il dovere dell’Amministrazione prefettizia di valutare la sussistenza dei presupposti per la “liberazione” dal regime interdittivo imposto.
In altre parole, alla scadenza dei dodici mesi, l’interessato potrà proporre istanza di riesame del provvedimento, comunque motivata alla luce delle sopravvenienze “favorevoli” che si siano verificate ed il Prefetto avrà l’obbligo di procedere alla verifica della persistenza o meno delle circostanze poste a fondamento della misura, al fine o di confermare l’interdittiva o, alternativamente, di “liberare” l’impresa.
L’importante arresto giurisprudenziale – benché la tematica risulti ancora “affrancata” dal regime di garanzie proprio dei principi più liberali dell’ordinamento penalistico – fa comunque segnare un “passo avanti” almeno sul piano dei principi dell’ordinamento amministrativo, rimandando, tutte le volte che se ne presenta l’occasione e mai velatamente, a quello della motivazione nell’esercizio dell’azione amministrativa in senso stretto.

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