Convivenza more uxorio e concorsi universitari

Published On: 19 Marzo 2019Categories: Concorsi pubblici, Pubblica Amministrazione, Scuola e Università, Tutele

Il TAR Firenze, con la decisione del 12 marzo 2019 n. 350, si è pronunziato sulla possibilità o meno per il convivente more uxorio di partecipare alle procedure di chiamata dei  dei professori di prima e di seconda fascia, di cui all’art. 18 della legge 240/2010 (c.d. Legge Gelmini) – possibilità contestata da parte ricorrente  che aveva in specie impugnato il decreto con cui il Rettore dell’Università aveva approvato gli atti d’una procedura valutativa per la copertura di un posto di professore associato, assegnato per l’appunto al convivente more uxorio (con figli) d’un Professore già associato del medesimo Dipartimento.

I Giudici Amministrativi fiorentini, nelle more della pronunzia da parte della Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale del citato disposto normativo sollevata dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia con ordinanza n. 76/2018 – questione ritenuta dal Collegio ininfluente rispetto alla controversia sottoposta al suo esame, in quanto l’Ateneo resistente, attraverso propri atti regolamentari, aveva in effetti già ritenuto di considerare rilevante il rapporto di coniugio, includendolo tra i divieti di partecipazione alla procedura di cui si tratta – hanno in particolare ed in via preliminare rammentato come il citato art. 18 al suo comma 1 lett. b) preveda che ai procedimenti per la chiamata, di cui al presente articolo, non possono partecipare coloro che abbiano un grado di parentela o di affinità, fino al quarto grado compreso, con un professore appartenente al dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata ovvero con il rettore, il direttore generale o un componente del consiglio di amministrazione dell’ateneo.

Detta disposizione rinvia quindi alla disciplina interna dei singoli atenei (circostanza quest’ultima che, come accennato sopra, aveva portato l’Università resistente ad estendere in via regolamentare le cause di incompatibilità di cui all’art. 18 della legge n. 240/2010 ai rapporti di coniugio, senza tuttavia prevedere alcunché per quanto concerne i rapporti di convivenza more uxorio con un professore appartenente al Dipartimento che propone la selezione).

L’inserimento del rapporto di coniugio tra le ipotesi di incompatibilità previste nell’ambito della procedura di selezione di cui si tratta“, osserva il Collegio “..è il risultato dell’affermarsi di un orientamento maggioritario che ha confermato che l’art. 18 comma 1 lett. b) della L. 240/2010 “laddove stabilisce che ai procedimenti per la chiamata dei professori di prima e seconda fascia, per il conferimento degli assegni di ricerca e per la stipulazione dei contratti da ricercatore a tempo determinato, non possono “partecipare coloro che abbiano un grado di parentela o di affinità, fino al quarto grado compreso, con un professore appartenente al dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata ovvero con il rettore, il direttore generale o un componente del consiglio di amministrazione dell’ateneo”, deve essere interpretato in modo costituzionalmente orientato nel senso che si trovano in posizione di incompatibilità anche coloro che sono legati da rapporto di coniugio con uno dei soggetti indicati nella disposizione citata. Non prevalendo il matrimonio sul principio di eguaglianza e su quello di imparzialità amministrativa, nessun rilievo in contrario può avere l’argomento per cui si tratterebbe di una scelta del legislatore che intende tutelare il matrimonio, salvo assumere che il biasimevole,ma non infrequente, fenomeno detto del familismo universitario vada addirittura istituzionalizzato (Cons. Stato, Sez. VI, 4.3.2013, n. 1270; TAR Sicilia, Catania, n. 1100/2017; TAR Abruzzo, 25.10.2012, n. 703; TAR Lazio, Roma, n. 11393/2015; TAR Campania, Napoli, n. 2748/2013)..”.

Ciò premesso, il Collegio, pur rammentando l’esistenza di un “…orientamento giurisprudenziale ormai consolidato che esclude l’interpretazione estensiva delle ipotesi di esclusione (per tutti si veda Consiglio di Stato, VI, n. 1202/2018)..” ha nello specifico ritenuto “..che l’applicazione del regime di incompatibilità di cui all’art. 18 comma 1 lett.b) anche alla convivenza more uxorio costituisca una conseguenza ineludibile della ratio della norma e della sostanziale equiparazione posta in essere dal Legislatore e dalla Giurisprudenza tra il rapporto di coniugio e le c.d. convivenze di fatto…”.

E’ infatti evidente, ad avviso del Collegio “…che l’art. 18 comma 1 lett.b), nella parte in cui sancisce il divieto di partecipazione per coloro che abbiano un rapporto di parentela fino al IV grado con professore appartenente allo stesso Dipartimento, ha l’intento di evitare interferenze nelle procedure di selezione per la chiamata dei professori o dei ricercatori...E’, peraltro, noto che le c.d. convivenze di fatto sono risultate destinatarie di una serie di disposizioni che hanno voluto l’effetto di attribuire ai conviventi sempre maggiori diritti e obblighi, assimilando la disciplina vigente alle tutele che caratterizzano i coniugi legati da un rapporto di matrimonio…” (cfr. art. 6, comma 4, L. 4 maggio 1983, n. 184; artt. 342 bis e 342 ter del codice civile, in tema di violenze all’interno della famiglia; art. 5, L. 19 febbraio 2004, n. 40, in tema di procreazione medicalmente assistita; artt. 406 e 408 c.c., in tema di amministrazione di sostegno; art. 337 ter c.c., in tema di effetti della separazione personale).

Ancora, rammenta il Collegio, “..il percorso di progressivo avvicinamento delle c.d. convivenze more uxorio ai diritti e agli obblighi scaturenti dall’aver contratto un matrimonio ha avuto come punto di approdo la Legge del 20 maggio 2016, n. 76, disciplina quest’ultima che ha inteso regolamentare le convivenze “di fatto”, i contratti di convivenza e le unioni civili tra persone dello stesso sesso…”

Alla luce di detto excursus e pur prescindendosi dalle diversità tra i vari istituti e dalle differenze per quanto concerne i diritti e gli obblighi attribuiti ai soggetti che costituiscono dette “formazioni sociali”, il Collegio ha ritenuto “… innegabile che …il legislatore abbia inteso estendere le tutele tipiche del matrimonio, attribuendo determinati diritti e obblighi per il solo fatto del realizzarsi della convivenza, risultando detto presupposto sufficiente a giuridicizzare il rapporto…”.

Da ciò, pertanto, il convincimento del Collegio che “..tutte le volte in cui si sia in presenza di un rapporto di convivenza con caratteri di stabilità equiparabili al rapporto di coniugio deve ritenersi che non sussistano elementi per differenziare il regime giuridico e, ciò, specie nel campo dei divieti di partecipazione alle procedure concorsuali, dove si intende evitare le ingerenze nella procedura riconducibile all’esistenza di un legame tra due soggetti, uno dei quali riveste un incarico potenzialmente idoneo a ledere i principi di par condicio e trasparenza…”.

Con la conseguenza che “..non sussiste alcuna differenza giuridicamente apprezzabile che potrebbe giustificare un regime differente, risultando evidente come, sia nel rapporto di coniugio vero e proprio quanto nel rapporto di convivenza more uxorio, in entrambi i casi e nella medesima misura, sussiste il rischio di operare una disparità di trattamento dei candidati, in violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione…”.

E ciò in quanto “..nelle procedure concorsuali la parità di trattamento fra candidati costituisce il portato applicativo diretto dell’art. 97 della Costituzione; “alla luce di tale, assorbente, considerazione, il rapporto di convivenza more uxorio tra il candidato e un professore appartenente allo stesso Dipartimento costituisce elemento di per sé astrattamente idoneo a far dubitare dell’imparzialità e parità di trattamento tra candidati (Cons. Stato, Sez. VI, 6.8.2018, n. 4841)”.

Ne consegue, in definitiva, che – così come sostenuto da parte ricorrente la candidata convivente more uxorio andava esclusa dalla procedura di chiamata e che pertanto la dichiarazione di idoneità di un candidato legato da uno stabile rapporto di convivenza more uxorio con un professore associato dello stesso Dipartimento (che opera, per di più, nello stesso gruppo di ricerca), risulta illegittima – ed è stata per ciò annullata – per violazione della citata disposizione, “..nel momento in cui non considera come in realtà anche in detta situazione sussiste l’esigenza di evitare interferenze nella chiamata dei professori o dei ricercatori che possano derivare dal rapporto di stretta familiarità con soggetti già appartenenti alla struttura che effettua la chiamata…”

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Convivenza more uxorio e concorsi universitari

Published On: 19 Marzo 2019

Il TAR Firenze, con la decisione del 12 marzo 2019 n. 350, si è pronunziato sulla possibilità o meno per il convivente more uxorio di partecipare alle procedure di chiamata dei  dei professori di prima e di seconda fascia, di cui all’art. 18 della legge 240/2010 (c.d. Legge Gelmini) – possibilità contestata da parte ricorrente  che aveva in specie impugnato il decreto con cui il Rettore dell’Università aveva approvato gli atti d’una procedura valutativa per la copertura di un posto di professore associato, assegnato per l’appunto al convivente more uxorio (con figli) d’un Professore già associato del medesimo Dipartimento.

I Giudici Amministrativi fiorentini, nelle more della pronunzia da parte della Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale del citato disposto normativo sollevata dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia con ordinanza n. 76/2018 – questione ritenuta dal Collegio ininfluente rispetto alla controversia sottoposta al suo esame, in quanto l’Ateneo resistente, attraverso propri atti regolamentari, aveva in effetti già ritenuto di considerare rilevante il rapporto di coniugio, includendolo tra i divieti di partecipazione alla procedura di cui si tratta – hanno in particolare ed in via preliminare rammentato come il citato art. 18 al suo comma 1 lett. b) preveda che ai procedimenti per la chiamata, di cui al presente articolo, non possono partecipare coloro che abbiano un grado di parentela o di affinità, fino al quarto grado compreso, con un professore appartenente al dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata ovvero con il rettore, il direttore generale o un componente del consiglio di amministrazione dell’ateneo.

Detta disposizione rinvia quindi alla disciplina interna dei singoli atenei (circostanza quest’ultima che, come accennato sopra, aveva portato l’Università resistente ad estendere in via regolamentare le cause di incompatibilità di cui all’art. 18 della legge n. 240/2010 ai rapporti di coniugio, senza tuttavia prevedere alcunché per quanto concerne i rapporti di convivenza more uxorio con un professore appartenente al Dipartimento che propone la selezione).

L’inserimento del rapporto di coniugio tra le ipotesi di incompatibilità previste nell’ambito della procedura di selezione di cui si tratta“, osserva il Collegio “..è il risultato dell’affermarsi di un orientamento maggioritario che ha confermato che l’art. 18 comma 1 lett. b) della L. 240/2010 “laddove stabilisce che ai procedimenti per la chiamata dei professori di prima e seconda fascia, per il conferimento degli assegni di ricerca e per la stipulazione dei contratti da ricercatore a tempo determinato, non possono “partecipare coloro che abbiano un grado di parentela o di affinità, fino al quarto grado compreso, con un professore appartenente al dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata ovvero con il rettore, il direttore generale o un componente del consiglio di amministrazione dell’ateneo”, deve essere interpretato in modo costituzionalmente orientato nel senso che si trovano in posizione di incompatibilità anche coloro che sono legati da rapporto di coniugio con uno dei soggetti indicati nella disposizione citata. Non prevalendo il matrimonio sul principio di eguaglianza e su quello di imparzialità amministrativa, nessun rilievo in contrario può avere l’argomento per cui si tratterebbe di una scelta del legislatore che intende tutelare il matrimonio, salvo assumere che il biasimevole,ma non infrequente, fenomeno detto del familismo universitario vada addirittura istituzionalizzato (Cons. Stato, Sez. VI, 4.3.2013, n. 1270; TAR Sicilia, Catania, n. 1100/2017; TAR Abruzzo, 25.10.2012, n. 703; TAR Lazio, Roma, n. 11393/2015; TAR Campania, Napoli, n. 2748/2013)..”.

Ciò premesso, il Collegio, pur rammentando l’esistenza di un “…orientamento giurisprudenziale ormai consolidato che esclude l’interpretazione estensiva delle ipotesi di esclusione (per tutti si veda Consiglio di Stato, VI, n. 1202/2018)..” ha nello specifico ritenuto “..che l’applicazione del regime di incompatibilità di cui all’art. 18 comma 1 lett.b) anche alla convivenza more uxorio costituisca una conseguenza ineludibile della ratio della norma e della sostanziale equiparazione posta in essere dal Legislatore e dalla Giurisprudenza tra il rapporto di coniugio e le c.d. convivenze di fatto…”.

E’ infatti evidente, ad avviso del Collegio “…che l’art. 18 comma 1 lett.b), nella parte in cui sancisce il divieto di partecipazione per coloro che abbiano un rapporto di parentela fino al IV grado con professore appartenente allo stesso Dipartimento, ha l’intento di evitare interferenze nelle procedure di selezione per la chiamata dei professori o dei ricercatori...E’, peraltro, noto che le c.d. convivenze di fatto sono risultate destinatarie di una serie di disposizioni che hanno voluto l’effetto di attribuire ai conviventi sempre maggiori diritti e obblighi, assimilando la disciplina vigente alle tutele che caratterizzano i coniugi legati da un rapporto di matrimonio…” (cfr. art. 6, comma 4, L. 4 maggio 1983, n. 184; artt. 342 bis e 342 ter del codice civile, in tema di violenze all’interno della famiglia; art. 5, L. 19 febbraio 2004, n. 40, in tema di procreazione medicalmente assistita; artt. 406 e 408 c.c., in tema di amministrazione di sostegno; art. 337 ter c.c., in tema di effetti della separazione personale).

Ancora, rammenta il Collegio, “..il percorso di progressivo avvicinamento delle c.d. convivenze more uxorio ai diritti e agli obblighi scaturenti dall’aver contratto un matrimonio ha avuto come punto di approdo la Legge del 20 maggio 2016, n. 76, disciplina quest’ultima che ha inteso regolamentare le convivenze “di fatto”, i contratti di convivenza e le unioni civili tra persone dello stesso sesso…”

Alla luce di detto excursus e pur prescindendosi dalle diversità tra i vari istituti e dalle differenze per quanto concerne i diritti e gli obblighi attribuiti ai soggetti che costituiscono dette “formazioni sociali”, il Collegio ha ritenuto “… innegabile che …il legislatore abbia inteso estendere le tutele tipiche del matrimonio, attribuendo determinati diritti e obblighi per il solo fatto del realizzarsi della convivenza, risultando detto presupposto sufficiente a giuridicizzare il rapporto…”.

Da ciò, pertanto, il convincimento del Collegio che “..tutte le volte in cui si sia in presenza di un rapporto di convivenza con caratteri di stabilità equiparabili al rapporto di coniugio deve ritenersi che non sussistano elementi per differenziare il regime giuridico e, ciò, specie nel campo dei divieti di partecipazione alle procedure concorsuali, dove si intende evitare le ingerenze nella procedura riconducibile all’esistenza di un legame tra due soggetti, uno dei quali riveste un incarico potenzialmente idoneo a ledere i principi di par condicio e trasparenza…”.

Con la conseguenza che “..non sussiste alcuna differenza giuridicamente apprezzabile che potrebbe giustificare un regime differente, risultando evidente come, sia nel rapporto di coniugio vero e proprio quanto nel rapporto di convivenza more uxorio, in entrambi i casi e nella medesima misura, sussiste il rischio di operare una disparità di trattamento dei candidati, in violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione…”.

E ciò in quanto “..nelle procedure concorsuali la parità di trattamento fra candidati costituisce il portato applicativo diretto dell’art. 97 della Costituzione; “alla luce di tale, assorbente, considerazione, il rapporto di convivenza more uxorio tra il candidato e un professore appartenente allo stesso Dipartimento costituisce elemento di per sé astrattamente idoneo a far dubitare dell’imparzialità e parità di trattamento tra candidati (Cons. Stato, Sez. VI, 6.8.2018, n. 4841)”.

Ne consegue, in definitiva, che – così come sostenuto da parte ricorrente la candidata convivente more uxorio andava esclusa dalla procedura di chiamata e che pertanto la dichiarazione di idoneità di un candidato legato da uno stabile rapporto di convivenza more uxorio con un professore associato dello stesso Dipartimento (che opera, per di più, nello stesso gruppo di ricerca), risulta illegittima – ed è stata per ciò annullata – per violazione della citata disposizione, “..nel momento in cui non considera come in realtà anche in detta situazione sussiste l’esigenza di evitare interferenze nella chiamata dei professori o dei ricercatori che possano derivare dal rapporto di stretta familiarità con soggetti già appartenenti alla struttura che effettua la chiamata…”

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