Accesso civico generalizzato in materia di contratti pubblici

Published On: 6 Giugno 2019Categories: Appalti Pubblici e Concessioni, Tutele

La Terza Sezione del Consiglio di Stato, con la decisione del 05.06.2019 n.3780 ha ritenuto ammissibile l’accesso civico generalizzato agli atti e verbali d’una procedura di gara ormai definita, al successivo contratto d’appalto stipulato con l’aggiudicataria, ai preventivi dettagliati, ai collaudi ed ai pagamenti “con la relativa documentazione fiscale dettagliata”.

Nel riformare la decisione di prime cure, la Terza Sezione ha anzitutto ritenuto di premettere che, in linea generale, il legislatore, attraverso l’introduzione dell’accesso civico generalizzato, ha voluto consentire l’accesso ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori a quelli oggetto di pubblicazione, a “chiunque”, prescindendo da un interesse manifesto.

Si tratta, rammenta ancora la Sezione di un istituto di portata generale, che tuttavia “..non è esente da alcune limitazioni rinvenibili sia in quanto stabilito nell’art. 5-bis, commi 1 e 2 del d.lgs. n. 33/2013, sia nella scelta del legislatore di far rimanere in vita gli artt. 22 e ss. della l. 241/90 relativi all’accesso c.d. “ordinario”..”.

Ciò posto, la Sezione, rispetto alla fattispecie portata alla sua attenzione, ha ritenuto che occorra “…stabilire se l’art. 53 del codice dei contratti il quale stabilisce “il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli artt. 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241” possa condurre alla esclusione della disciplina dell’accesso civico ai sensi del comma 3 dell’art. 5-bis del d.lgs. n. 33/2013, ai sensi del quale “il diritto di cui all’art. 5, comma 2, è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’art. 24, comma 1, della l. 241/1990”…”.

Su tale questione, osserva ancora la Terza Sezione, la giurisprudenza amministrativa formatasi innanzi ai TAR, non è univoca, essendosi registrati diversi orientamenti:

– secondo un primo indirizzo, “…i documenti afferenti alle procedure di affidamento ed esecuzione di un appalto sono esclusivamente sottoposti alla disciplina di cui all’art. 53 d.lgs. 50/2016 e pertanto restano esclusi dall’accesso civico c.d. generalizzato di cui all’art. 5, comma 2, d.lgs. 33/2013 (T.A.R. Emilia- Romagna, Parma, n. 197/18; T.A.R. Lombardia, Milano, I, n. 630/19)…”;

– secondo diverso orientamento, di contro, “…dovrebbe riconoscersi l’applicabilità della disciplina dell’accesso civico generalizzato anche alla materia degli appalti pubblici (da ultimo, T.A.R. Lombardia, sez. IV, n. 45/2019)…”.

In un tale contesto, ai fini della decisione, la Sezione ha ritenuto dover prendere le mosse da una “…lettura coordinata e dalla interpretazione funzionale degli art. 53 d.lgs. 50/2016, che rinvia alla disciplina di cui all’art. 22 e seguenti della legge n. 241/1990, e dell’art. 5 bis, comma 3, d.lgs. 33/2013…”.

L’art. 53 del codice dei contratti pubblici, rileva quindi la Sezione, “…richiama al primo comma la disciplina contenuta nella l. 241/90, mentre nel secondo elenca una serie di prescrizioni riguardanti il differimento dell’accesso in corso di gara. L’art. 5 bis, comma 3 del d.lgs. n. 33/2013, stabilisce, invece che l’accesso civico generalizzato è escluso fra l’altro nei casi previsti dalla legge “ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti”.

Orbene, ad avviso della Sezione, “...tale ultima prescrizione fa riferimento, nel limitare tale diritto, a “specifiche condizioni, modalità e limiti” ma non ad intere “materie”. Diversamente interpretando, significherebbe escludere l’intera materia relativa ai contratti pubblici da una disciplina, qual è quella dell’accesso civico generalizzato, che mira a garantire il rispetto di un principio fondamentale, il principio di trasparenza ricavabile direttamente dalla Costituzione. Entrambe le discipline, contenute nel d.lgs. 50/2016 e nel d.lgs. 33/2013, mirano all’attuazione dello stesso, identico principio e non si vedrebbe per quale ragione, la disciplina dell’accesso civico dovrebbe essere esclusa dalla disciplina dei contratti pubblici. D’altro canto, il richiamo contenuto nel primo comma, del citato art. 53 Codice dei contratti, alla disciplina del c.d. accesso “ordinario” di cui agli artt. 22 e ss. della l. 241/90 è spiegabile alla luce del fatto che il d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 è anteriore al d.lgs. 25 maggio 2016, n. 67 modificativo del d.lgs. 33/2013…”.

D’altronde, osserva ancora la Sezione, “..il d.lgs. 25 maggio 2016 n. 97, che ha introdotto l’accesso civico novellando l’art. 5 d.lgs. n. 33/2013, si è dichiaratamente ispirato al cd. “Freedom of information act” che, nel sistema giuridico americano, ha da tempo superato il principio dei limiti soggettivi all’accesso, riconoscendolo ad ogni cittadino, con la sola definizione di un “numerus clausus” di limiti oggettivi, a tutela di interessi giuridicamente rilevanti, che sono appunto precisati nello stesso art. 5 co. 2 d.lgs. n. 33/2013…”.

L’intento del legislatore delegato è stato quello di “favorire forme diffuse di controllo nel perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”, promuovendo così “la partecipazione al dibattito pubblico”.

La “ratio” d’un tale intervento, rammenta ancora la Sezione, “…è stata declinata in tutte le sue implicazioni da questo Consiglio di Stato (cfr. Commiss. Speciale 24 febbraio 2016 n. 515) il quale, nell’esprimere il proprio parere favorevole sullo schema di decreto legislativo, ha apprezzato, tra gli altri, due aspetti, che assumono rilevanza ai fini della presente decisione:

A) “…il primo aspetto, cioè la già sottolineata limitazione soltanto oggettiva dell’accesso civico, comporta che, oltre alle specifiche “materie” sottratte – ad esempio quelle relative alla politica estera o di sicurezza nazionale – vi possono essere “casi” in cui, per una materia altrimenti compresa per intero nella possibilità di accesso, norme speciali (ovvero l’art. 24 co. 1 L. 241/1990) possono prevedere “specifiche condizioni, modalità e limiti”…”.

Orbene, da tale principio deriva “..anzitutto che l’ambito delle materie sottratte debba essere definito senza possibilità di estensione o analogia interpretativa…” ed in secondo luogo, “…discende la regola, ben chiara ad avviso del Collegio, per cui, ove non si ricada in una “materia” esplicitamente sottratta, possono esservi solo “casi” in cui il legislatore pone specifiche limitazioni, modalità o limiti…”.

Non ritiene il Collegio che il richiamo, ritenuto decisivo dal primo giudice, all’art. 53 del “Codice dei contratti” nella parte in cui esso rinvia alla disciplina degli artt. 22 e seguenti della l. 241/90, possa condurre alla generale esclusione dell’accesso civico della materia degli appalti pubblici…”.

E’ evidente“, osserva ancora il Collegio, “.. che il citato d. lgs. n. 97/2016, successivo sia al “Codice dei contratti” che – ovviamente – alla legge n. 241/90, sconta un mancato coordinamento con quest’ultima normativa, sul procedimento amministrativo, a causa del non raro difetto, sulla tecnica di redazione ed il coordinamento tra testi normativi, in cui il legislatore incorre. 

Non può, dunque, ipotizzarsi una interpretazione “statica” e non costituzionalmente orientata delle disposizioni vigenti in materia di accesso allorché, intervenuta la disciplina del d. lgs 97/2016, essa non risulti correttamente coordinata con l’art. 53 codice dei contratti e con la ancor più risalente normativa generale sul procedimento: sarebbe questa, opinando sulla scia della impugnata sentenza, la strada per la preclusione dell’accesso civico ogniqualvolta una norma di legge si riferisca alla procedura ex artt. 22 e seguenti L. 241/90.

Ritiene, viceversa, il Collegio, che una interpretazione conforme ai canoni dell’art. 97 Cost. debba valorizzare l’impatto “orizzontale” dell’accesso civico, non limitabile da norme preesistenti (e non coordinate con il nuovo istituto), ma soltanto dalle prescrizioni “speciali” e interpretabili restrittivamente, che la stessa nuova normativa ha introdotto al suo interno…”.

B) Il secondo aspetto – sottolineato nel citato parere della Commissione Speciale 515/2016 e ritenuto utile ai fini della decisione – “…è che la normativa sull’accesso civico non ha certo regolato positivamente il diritto di chiunque ad accedere agli atti per mera curiosità o per accaparrarsi dati sensibili a lui utili relativi ad ambiti di una impresa concorrente e coperti dalla ordinaria “segretezza aziendale”.

Proprio con riferimento alle procedure di appalto, la possibilità di accesso civico, una volta che la gara sia conclusa e viene perciò meno la tutela della “par condicio” dei concorrenti, non risponde soltanto ai canoni generali di “controllo diffuso sul perseguimento dei compiti istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche” (art. 5 co. 2 cit. d.lgs. 33).

Vi è infatti, a rafforzare in materia l’ammissibilità dell’accesso civico, una esigenza specifica e più volte riaffermata nell’ordinamento statale ed europeo, e cioè il perseguimento di procedure di appalto trasparenti anche come strumento di prevenzione e contrasto della corruzione.

Il richiamato parere n. 515/2016, con argomenti che trovano nella materia degli appalti un terreno privilegiato, ha correttamente osservato: La trasparenza si pone come un valore-chiave, in grado di poter risolvere uno dei problemi di fondo della pubblica amministrazione italiana: quello di coniugare garanzie ed efficienza nello svolgimento dell’azione amministrativa. Tale valore può essere riguardato […] come modo d’essere tendenziale dell’organizzazione dei pubblici poteri […]. In altri termini, se l’interesse pubblico – inteso tecnicamente come “causa” dell’atto e del potere amministrativo – non può più essere rigidamente predeterminato e imposto, ma costituisce in concreto la risultante di un processo di formazione cui sono chiamati a partecipare sempre più attivamente i componenti della comunità, occorre anche “rendere visibile” il modo di formazione dell’interesse medesimo, i soggetti che vi concorrono […] nonché rendere conoscibili i dati di base, i presupposti da cui si muove, i modi di esercizio del potere, ivi comprese le risorse utilizzate”…”.

Tali principi peraltro trovano, ad avviso del Collegio “… significativa conferma nella posizione chiara della Commissione Europea, che nella relazione concernente il contrasto alla corruzione in ogni ambito, sottolinea la necessità che l’ordinamento italiano promuova la trasparenza in ogni ambito, e particolarmente negli appalti pubblici “prima” ma anche “dopo l’aggiudicazione”…”, nonchè nel Piano Nazionale Anticorruzione.

Sicchè, è proprio “..dal richiamo, sub A) e B) a principi generali ormai applicabili necessariamente a tutti i settori e materie – salve le specifiche esclusioni – dell’azione delle pubbliche amministrazioni..”, che la Sezione, con la decisione in rassegna, ha tratto la conclusione che, “…contrariamente a quanto stabilito dalla sentenza appellata, l’appellante abbia diritto ad accedere agli atti della procedura di appalto a cui non ha partecipato, per le ragioni che seguono in rapporto agli specifici ostacoli preclusivi posti dalla resistente..”.

E ciò, tanto più in quanto “...la natura degli atti da esibire, consistenti perlopiù nella documentazione amministrativa e contabile, incluse le fatture pagate all’aggiudicatario, esclude qualsiasi compromissione di segreti del processo industriale della società che esegue l’appalto…”, trattandosi peraltro di dati – quali quelli relativi agli importi liquidati all’esecutore dell’appalto – “…che devono essere resi pubblici dalle stazioni appaltanti, sicché altrettanto ostensibili devono ritenersi i documenti contabili da cui si ricavano gli importi stessi…”.

Peraltro, osserva ancora il Collegio, “…l’oggetto dell’appalto in questione si configura come prestazione standardizzata e altamente ripetitiva…”, risultando anche perciò escluso qualsiasi eventuale vulnus a segreti commerciali o industriali.

Sulla scorta di tali coordinate, dunque, la Sezione ha accolto l’appello, “… con la conseguente doverosa ostensione, da parte dell’Amministrazione, della documentazione di gara e della fase esecutiva dell’appalto aggiudicato, per la procedura di gara in questione…”

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Accesso civico generalizzato in materia di contratti pubblici

Published On: 6 Giugno 2019

La Terza Sezione del Consiglio di Stato, con la decisione del 05.06.2019 n.3780 ha ritenuto ammissibile l’accesso civico generalizzato agli atti e verbali d’una procedura di gara ormai definita, al successivo contratto d’appalto stipulato con l’aggiudicataria, ai preventivi dettagliati, ai collaudi ed ai pagamenti “con la relativa documentazione fiscale dettagliata”.

Nel riformare la decisione di prime cure, la Terza Sezione ha anzitutto ritenuto di premettere che, in linea generale, il legislatore, attraverso l’introduzione dell’accesso civico generalizzato, ha voluto consentire l’accesso ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori a quelli oggetto di pubblicazione, a “chiunque”, prescindendo da un interesse manifesto.

Si tratta, rammenta ancora la Sezione di un istituto di portata generale, che tuttavia “..non è esente da alcune limitazioni rinvenibili sia in quanto stabilito nell’art. 5-bis, commi 1 e 2 del d.lgs. n. 33/2013, sia nella scelta del legislatore di far rimanere in vita gli artt. 22 e ss. della l. 241/90 relativi all’accesso c.d. “ordinario”..”.

Ciò posto, la Sezione, rispetto alla fattispecie portata alla sua attenzione, ha ritenuto che occorra “…stabilire se l’art. 53 del codice dei contratti il quale stabilisce “il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli artt. 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241” possa condurre alla esclusione della disciplina dell’accesso civico ai sensi del comma 3 dell’art. 5-bis del d.lgs. n. 33/2013, ai sensi del quale “il diritto di cui all’art. 5, comma 2, è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’art. 24, comma 1, della l. 241/1990”…”.

Su tale questione, osserva ancora la Terza Sezione, la giurisprudenza amministrativa formatasi innanzi ai TAR, non è univoca, essendosi registrati diversi orientamenti:

– secondo un primo indirizzo, “…i documenti afferenti alle procedure di affidamento ed esecuzione di un appalto sono esclusivamente sottoposti alla disciplina di cui all’art. 53 d.lgs. 50/2016 e pertanto restano esclusi dall’accesso civico c.d. generalizzato di cui all’art. 5, comma 2, d.lgs. 33/2013 (T.A.R. Emilia- Romagna, Parma, n. 197/18; T.A.R. Lombardia, Milano, I, n. 630/19)…”;

– secondo diverso orientamento, di contro, “…dovrebbe riconoscersi l’applicabilità della disciplina dell’accesso civico generalizzato anche alla materia degli appalti pubblici (da ultimo, T.A.R. Lombardia, sez. IV, n. 45/2019)…”.

In un tale contesto, ai fini della decisione, la Sezione ha ritenuto dover prendere le mosse da una “…lettura coordinata e dalla interpretazione funzionale degli art. 53 d.lgs. 50/2016, che rinvia alla disciplina di cui all’art. 22 e seguenti della legge n. 241/1990, e dell’art. 5 bis, comma 3, d.lgs. 33/2013…”.

L’art. 53 del codice dei contratti pubblici, rileva quindi la Sezione, “…richiama al primo comma la disciplina contenuta nella l. 241/90, mentre nel secondo elenca una serie di prescrizioni riguardanti il differimento dell’accesso in corso di gara. L’art. 5 bis, comma 3 del d.lgs. n. 33/2013, stabilisce, invece che l’accesso civico generalizzato è escluso fra l’altro nei casi previsti dalla legge “ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti”.

Orbene, ad avviso della Sezione, “...tale ultima prescrizione fa riferimento, nel limitare tale diritto, a “specifiche condizioni, modalità e limiti” ma non ad intere “materie”. Diversamente interpretando, significherebbe escludere l’intera materia relativa ai contratti pubblici da una disciplina, qual è quella dell’accesso civico generalizzato, che mira a garantire il rispetto di un principio fondamentale, il principio di trasparenza ricavabile direttamente dalla Costituzione. Entrambe le discipline, contenute nel d.lgs. 50/2016 e nel d.lgs. 33/2013, mirano all’attuazione dello stesso, identico principio e non si vedrebbe per quale ragione, la disciplina dell’accesso civico dovrebbe essere esclusa dalla disciplina dei contratti pubblici. D’altro canto, il richiamo contenuto nel primo comma, del citato art. 53 Codice dei contratti, alla disciplina del c.d. accesso “ordinario” di cui agli artt. 22 e ss. della l. 241/90 è spiegabile alla luce del fatto che il d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 è anteriore al d.lgs. 25 maggio 2016, n. 67 modificativo del d.lgs. 33/2013…”.

D’altronde, osserva ancora la Sezione, “..il d.lgs. 25 maggio 2016 n. 97, che ha introdotto l’accesso civico novellando l’art. 5 d.lgs. n. 33/2013, si è dichiaratamente ispirato al cd. “Freedom of information act” che, nel sistema giuridico americano, ha da tempo superato il principio dei limiti soggettivi all’accesso, riconoscendolo ad ogni cittadino, con la sola definizione di un “numerus clausus” di limiti oggettivi, a tutela di interessi giuridicamente rilevanti, che sono appunto precisati nello stesso art. 5 co. 2 d.lgs. n. 33/2013…”.

L’intento del legislatore delegato è stato quello di “favorire forme diffuse di controllo nel perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”, promuovendo così “la partecipazione al dibattito pubblico”.

La “ratio” d’un tale intervento, rammenta ancora la Sezione, “…è stata declinata in tutte le sue implicazioni da questo Consiglio di Stato (cfr. Commiss. Speciale 24 febbraio 2016 n. 515) il quale, nell’esprimere il proprio parere favorevole sullo schema di decreto legislativo, ha apprezzato, tra gli altri, due aspetti, che assumono rilevanza ai fini della presente decisione:

A) “…il primo aspetto, cioè la già sottolineata limitazione soltanto oggettiva dell’accesso civico, comporta che, oltre alle specifiche “materie” sottratte – ad esempio quelle relative alla politica estera o di sicurezza nazionale – vi possono essere “casi” in cui, per una materia altrimenti compresa per intero nella possibilità di accesso, norme speciali (ovvero l’art. 24 co. 1 L. 241/1990) possono prevedere “specifiche condizioni, modalità e limiti”…”.

Orbene, da tale principio deriva “..anzitutto che l’ambito delle materie sottratte debba essere definito senza possibilità di estensione o analogia interpretativa…” ed in secondo luogo, “…discende la regola, ben chiara ad avviso del Collegio, per cui, ove non si ricada in una “materia” esplicitamente sottratta, possono esservi solo “casi” in cui il legislatore pone specifiche limitazioni, modalità o limiti…”.

Non ritiene il Collegio che il richiamo, ritenuto decisivo dal primo giudice, all’art. 53 del “Codice dei contratti” nella parte in cui esso rinvia alla disciplina degli artt. 22 e seguenti della l. 241/90, possa condurre alla generale esclusione dell’accesso civico della materia degli appalti pubblici…”.

E’ evidente“, osserva ancora il Collegio, “.. che il citato d. lgs. n. 97/2016, successivo sia al “Codice dei contratti” che – ovviamente – alla legge n. 241/90, sconta un mancato coordinamento con quest’ultima normativa, sul procedimento amministrativo, a causa del non raro difetto, sulla tecnica di redazione ed il coordinamento tra testi normativi, in cui il legislatore incorre. 

Non può, dunque, ipotizzarsi una interpretazione “statica” e non costituzionalmente orientata delle disposizioni vigenti in materia di accesso allorché, intervenuta la disciplina del d. lgs 97/2016, essa non risulti correttamente coordinata con l’art. 53 codice dei contratti e con la ancor più risalente normativa generale sul procedimento: sarebbe questa, opinando sulla scia della impugnata sentenza, la strada per la preclusione dell’accesso civico ogniqualvolta una norma di legge si riferisca alla procedura ex artt. 22 e seguenti L. 241/90.

Ritiene, viceversa, il Collegio, che una interpretazione conforme ai canoni dell’art. 97 Cost. debba valorizzare l’impatto “orizzontale” dell’accesso civico, non limitabile da norme preesistenti (e non coordinate con il nuovo istituto), ma soltanto dalle prescrizioni “speciali” e interpretabili restrittivamente, che la stessa nuova normativa ha introdotto al suo interno…”.

B) Il secondo aspetto – sottolineato nel citato parere della Commissione Speciale 515/2016 e ritenuto utile ai fini della decisione – “…è che la normativa sull’accesso civico non ha certo regolato positivamente il diritto di chiunque ad accedere agli atti per mera curiosità o per accaparrarsi dati sensibili a lui utili relativi ad ambiti di una impresa concorrente e coperti dalla ordinaria “segretezza aziendale”.

Proprio con riferimento alle procedure di appalto, la possibilità di accesso civico, una volta che la gara sia conclusa e viene perciò meno la tutela della “par condicio” dei concorrenti, non risponde soltanto ai canoni generali di “controllo diffuso sul perseguimento dei compiti istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche” (art. 5 co. 2 cit. d.lgs. 33).

Vi è infatti, a rafforzare in materia l’ammissibilità dell’accesso civico, una esigenza specifica e più volte riaffermata nell’ordinamento statale ed europeo, e cioè il perseguimento di procedure di appalto trasparenti anche come strumento di prevenzione e contrasto della corruzione.

Il richiamato parere n. 515/2016, con argomenti che trovano nella materia degli appalti un terreno privilegiato, ha correttamente osservato: La trasparenza si pone come un valore-chiave, in grado di poter risolvere uno dei problemi di fondo della pubblica amministrazione italiana: quello di coniugare garanzie ed efficienza nello svolgimento dell’azione amministrativa. Tale valore può essere riguardato […] come modo d’essere tendenziale dell’organizzazione dei pubblici poteri […]. In altri termini, se l’interesse pubblico – inteso tecnicamente come “causa” dell’atto e del potere amministrativo – non può più essere rigidamente predeterminato e imposto, ma costituisce in concreto la risultante di un processo di formazione cui sono chiamati a partecipare sempre più attivamente i componenti della comunità, occorre anche “rendere visibile” il modo di formazione dell’interesse medesimo, i soggetti che vi concorrono […] nonché rendere conoscibili i dati di base, i presupposti da cui si muove, i modi di esercizio del potere, ivi comprese le risorse utilizzate”…”.

Tali principi peraltro trovano, ad avviso del Collegio “… significativa conferma nella posizione chiara della Commissione Europea, che nella relazione concernente il contrasto alla corruzione in ogni ambito, sottolinea la necessità che l’ordinamento italiano promuova la trasparenza in ogni ambito, e particolarmente negli appalti pubblici “prima” ma anche “dopo l’aggiudicazione”…”, nonchè nel Piano Nazionale Anticorruzione.

Sicchè, è proprio “..dal richiamo, sub A) e B) a principi generali ormai applicabili necessariamente a tutti i settori e materie – salve le specifiche esclusioni – dell’azione delle pubbliche amministrazioni..”, che la Sezione, con la decisione in rassegna, ha tratto la conclusione che, “…contrariamente a quanto stabilito dalla sentenza appellata, l’appellante abbia diritto ad accedere agli atti della procedura di appalto a cui non ha partecipato, per le ragioni che seguono in rapporto agli specifici ostacoli preclusivi posti dalla resistente..”.

E ciò, tanto più in quanto “...la natura degli atti da esibire, consistenti perlopiù nella documentazione amministrativa e contabile, incluse le fatture pagate all’aggiudicatario, esclude qualsiasi compromissione di segreti del processo industriale della società che esegue l’appalto…”, trattandosi peraltro di dati – quali quelli relativi agli importi liquidati all’esecutore dell’appalto – “…che devono essere resi pubblici dalle stazioni appaltanti, sicché altrettanto ostensibili devono ritenersi i documenti contabili da cui si ricavano gli importi stessi…”.

Peraltro, osserva ancora il Collegio, “…l’oggetto dell’appalto in questione si configura come prestazione standardizzata e altamente ripetitiva…”, risultando anche perciò escluso qualsiasi eventuale vulnus a segreti commerciali o industriali.

Sulla scorta di tali coordinate, dunque, la Sezione ha accolto l’appello, “… con la conseguente doverosa ostensione, da parte dell’Amministrazione, della documentazione di gara e della fase esecutiva dell’appalto aggiudicato, per la procedura di gara in questione…”

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